Coro dei Principati


Premessa. 

Durante questa carrellata relativa alle 8 Entità che compongono il Coro dei Principati il lettore troverà una descrizione dell’Arcangelo che lo Governa. In questo caso la Reggenza spetta a HANIEL.

Quindi seguiranno le descrizioni degli altri 8 Geni che appartengono a questo specifico Coro.

Nelle pagine riservate a ogni singolo Angelo troverete varie descrizioni tratte dai libri di Haziel, di Pier Luca Pierini e di Igor Sibaldi. Altro materiale è stato reperito sulla rete.

INOLTRE:

Per ogni Entità Angelica saranno presenti immagini e testi così divisi:

Un ampio spazio è dedicato alla descrizione di ogni Genio secondo Igor Sibaldi (le descrizioni sono tratte da: “Libro degli Angeli” e sono state rivedute dall’autore di un blog); descrizione che, tra tutte le altre di mia conoscenza, io percepisco come  la “più affine”.

Un’altro alle caratteristiche caratteriali del bambino governato dal proprio Genio.

La Claviculae Angelorum

Vengono citati più volte i nomi dei Geni scritti con le 22 lettere dell’alfabeto ebraico.

Sono elencate le loro Esortazioni e le loro Invocazioni (secondo Haziel).

Il dono da loro dispensato.

Le date di reggenza. (secondo Haziel e secondo Pier Luca Pierini)

Una breve descrizione dell’energia dell’entità contraria.

La meditazione associata all’Angelo e la relativa immagine composta da lettere dell’alfabeto ebraico.

Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.

Cori di appartenenza e Arcangeli di influenza.

La composizione del Coro dei Principati.

49 Wehewu’el

50 Daniy’el

51 Hahashiyah

52 ‘Imamiyah

53 Nana’e’el

54 Niyitha’el

55 Mebahiyah

 56 Phuwiy’el

 Gerarchia Angelica Principati

I Principati sono il primo coro della terza Gerarchia Angelica. Alla terza sfera appartengono quegli angeli che assolvono la funzione di messaggeri del Cielo. Sono coloro che possiedono un carattere sovrano con potere di comando entro l’ordine divino. L’etimologia del nome viene dal latino Principatus e dal greco ἀρχή (Archè). I Principati o, (come alcuni li chiamano, “Regnanti”) collaborano con le Potestà nella gestione della politica umana, ricevendo gli ordini direttamente dalle Dominazioni.

Sono superiori per una superiorità di fortezza, forti nel compiere miracoli, nell’attirare i doni celesti e nel ridistribuirli dopo averli ricevuti, si dice che alla fine del mondo le “potenze dei cieli saranno sconvolte”, in quanto per la loro attività si compiranno cose meravigliose sugli elementi. Ci dobbiamo adattare a questi spiriti quando desideriamo essere forti nel lottare contro i vizi, profondi nella conoscenza delle cose divine, riconoscenti nell’accogliere i doni.

Anche Dante li cita nella Divina Commedia e dice: «Poscia ne’ due penultimi tripudi, Principati e Arcangeli si girano; l’ultimo è tutto d’Angelici ludi.» (Divina Commedia, Paradiso, XXVIII, 124-126)

I Principati sono i protettori delle manifestazioni religiose e di culto che stabiliscono e conservano i legami tra creature e Creatore; costituiscono il ponte tra la manifestazione materiale e l’essenza spirituale.  Esseri angelici dalla forma simile a raggi di luce, i Principati esercitano i loro influssi dall’orbita di Venere, si trovano oltre il gruppo degli Arcangeli. Sono gli spiriti della storia e del tempo, guardiani e protettori delle nazioni e delle contee, e di tutto quello che concerne i loro problemi ed eventi, inclusa la politica, i problemi militari, il commercio e lo scambio.

Assieme agli Arcangeli sono a stretto e continuo contatto con gli uomini, designando e scegliendo gli individui adatti a governare, amministrando e favorendo il commercio e gli affari militari. Credo che il loro lavoro di questi tempi sia davvero difficile, considerando come il nostro Mondo oggi sia in difficoltà.

Secondo l’angiologia cristiana ed ebraica dunque ogni regione, provincia, nazione, città o villaggio ha il proprio Principato o Regnante.

Nella Bibbia prima lettera di Pietro (3,21-22) “Egli (Cristo) ora si trova in cielo, accanto a Dio, e regna sopra tutti gli angeli, il Quale è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità sugli angeli, i Principati e le Potenze”.

Una tradizione ebraica afferma che fu uno di essi (per precisione, il Principato Hamiel) a trasportare Enoch direttamente in Paradiso. Sempre secondo questa credenza, il Principato Cervill sostenne e favorì Davide nella battaglia contro Golia.

Così come gli Angeli e gli Arcangeli, i Principati, non essendo di fronte a Dio come invece sono le gerarchie superiori, si occupano direttamente ed esclusivamente degli uomini e degli affari terreni.

Sono dunque loro che “creano” circostanze per favorire la divina Provvidenza o per rendere le nazioni protette.

Nei testi esoterici ritroviamo i Principati o Spiriti del tempo, collocati nella personalità, e la loro caratteristica è: Volontà, Corpo mentale, Fuoco elettrico, Mente inferiore e Pensiero. I Principati assieme alle Potenze sono esperti nella formazione di corpi di «materia mentale», come noi stiamo diventando esperti nel costruire corpi di materia fisica-spirituale. È attraverso la nostra mente concreta che i Principati si esprimono, per mezzo di Essi noi riusciamo a formulare i nostri concetti, quindi, più i nostri pensieri sono autentici, maggiormente, la bellezza di queste Angeliche entità sarà visibile. Possiamo dunque dire che è la terza gerarchia angelica quella che sta un grado più su degli uomini, che ha il compito di vegliare su tutto lo svolgimento del filo umano che, per l’uomo, passa attraverso le successive reincarnazioni.

In un’anima di popolo vive e opera quello che chiamiamo uno spirito del fuoco o un Arcangelo. Esso regola per così dire il rapporto del singolo uomo con l’insieme di un popolo o di una razza.

Gli spiriti del tempo o Principati, comprendono qualcosa che trascende un singolo popolo, una singola razza. Lo spirito di un’epoca non è limitato a questo o a quel popolo, sorpassa i limiti dei popoli.

Ai Principati deve ascriversi ad esempio il fatto che in certe epoche sorgano sulla nostra Terra, determinate personalità umane.Ebbene, quello che si chiama realmente lo spirito del tempo, lo spirito di un’epoca, è il corpo spirituale delle archai, o Principati, o spiriti della personalità.

Le entità che chiamiamo, Principati, le possiamo intravedere, nel rapido folgorare del fulmine e possiamo pensare: là dentro v’è qualcosa del corpo dei Principati, in quei baleni si vedrà il riflesso degli spiriti della personalità, perché là Essi hanno il loro corpo fisico. Un simile corpo fisico non può vivere che nel fuoco, solo nelle fiamme del fuoco si può percepire il corpo fisico delle Principati. Per similitudine possiamo considerarle come l’elemento Fuoco, collocato nel chakra Manipura nel quale si manifesta. Nel Rig Veda così esprime questo grande elemento: “… Agni, è la sorgente di tutto ciò che dà luce e calore. Dì modo che vi sono differenti specie di Agni; ma “qualunque altro fuoco possa esserci, non è che una ramificazione di Agni, l’immortale”. (Rig Veda, L, 59 1).

Arcangelo HANIEL e Coro degli Angeli Principati.

POTENZA DELL’AMORE E DELLA BELLEZZA A CAPO DEL CORO DEGLI ANGELI PRINCIPATI, DOMINA LE COSTELLAZIONI DEL TORO E DELLA BILANCIA.

La sede di Haniel, Potenza dell’Amore e della Bellezza,

è la settima Sephira o Turbine VENERE – NETZAH.

Haniel significa “Dio benevolo” o “Grazia di Dio”.

 L’Arcangelo Haniel e gli Angeli del suo Coro esaltano e magnificano la realtà materiale, per renderla desiderabile agli Uomini in cerca di esperienze. Haniel amministra infatti l’energia del desiderio, che genera il nostro concreto interesse per ogni cosa e ci induce alla seduzione. L’Amore concesso da Haniel, infatti, infonde il desiderio di incorporare ogni cosa in noi stessi, ovvero di possedere tutto e di goderne. Questo è l’amore che scaturisce dalla conoscenza del mondo materiale; non è ancora dunque una conoscenza globale, bensì solo quella che penetra in noi per via sensoriale, e che suscita poi compiacenza o ripugnanza per l’oggetto conosciuto, e apre così la via verso la scoperta del mondo. Nella sua fase involutiva questo stimola l’interesse nella persona che punta alla mera conquista del mondo materiale: e da quel momento essa si precipita con determinazione verso l’attuazione dell’esperienza programmata dal suo Ego. Non è ancora un desiderio “elevato”, ma questa brama di possedere il Mondo origina anche la sete di conoscere, perciò è di portata fondamentale per l’evoluzione dell’individuo. Quando poi egli si trova nel riflusso della vita che finalmente lo orienta verso la realtà spirituale “Haniel parimenti lo sprona per proiettarlo in alto, sulle vette, quasi fosse una freccia“. Questo Arcangelo perciò non rappresenta certo solo l’Amore e il desiderio per quel che si colloca nella materia, ma anche per ciò che è divino. Egli dispensa le energie che suscitano e placano la sete di conoscenza, e il suo impulso consente di utilizzare, nell’uno o nell’altro senso, le acque dell’eccedenza di energia che proviene dalle potenze celesti. In tal modo, pur prendendo le mosse dal desiderio ancora confuso di voler tutto possedere e sperimentare, conduce infine verso la comprensione che la vera e sola Realtà è Unione: alla fine del percorso sapremo che quanto appare separato e diverso è destinato a unificarsi, a rivelarsi come Unità, a “essere UNO”.

Haniel, Arcangelo del Divenire, della Bellezza, della Salute, della Longevità, esorta a chiedere il dono della vera Bellezza cui è data prevalenza su ogni cosa, per poter realizzare con pieno successo i propri progetti.

CORO ANGELICO.

L’Arcangelo Haniel presiede al Coro degli Angeli Principati: si tratta delle entità protettrici dei culti spirituali, stabiliscono i legami tra creatura e Creatore, sono i cosiddetti ‘ponti’ tra l’immanenza della materia e la trascendenza dello Spirito.

 

Vehuel, angelo 49, dei nati dal 23 al 27 novembre.

 Vehuel, o Wehewu’el, è il 49esimo Soffio e il primo raggio angelico nel Coro venusiano degli Angeli Principati, nel quale amministra le energie di Urano. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dallo 0° al 5° del Sagittario ed è l’Angelo Custode dei nati dal 23 al 27 novembre. I sei Angeli Custodi del Sagittario sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati persone leali, gentili, energiche e indipendenti, capaci di gestire il potere ma anche di essere generosi con i deboli gli oppressi; orgogliosi e impulsivi, questi nati sono anche pronti a dimenticare i torti. Secondo Sibaldi i 6 angeli del Sagittario hanno anche una caratteristica specifica: sono accomunati da qualità molto simili tra loro, il che non si riscontra nelle energie angeliche di nessun altro segno zodiacale: è semmai molto raro che due Angeli dello stesso segno si somiglino. Questi 6 Principati, invece, sembrano essere una sorta di variazione sullo stesso tema esistenziale, che Sibaldi chiama “il Castello”: quello che sembra rappresentato, fra 2 torri, nel pittogramma delle 3 lettere-radice del Nome. E aggiunge che i Principati sono gli Angeli della Bellezza: Dante, nel pieno rispetto della Qabbalah, li colloca nel terzo cielo del Paradiso, quello di Venere. La bellezza è quel qualcosa che si coglie nelle forme, ma che supera le forme stesse: e tutti i loro protetti sembrano appunto porsi, sul piano esistenziale, come “in alto” rispetto agli altri, in quanto cercano in se stessi una forma di identità più alta, più grande del semplice «io». Se per moltissimi che si accontentano di appartenere a un qualche «noi» (nazione, squadra, azienda, famiglia, religione, razza) l’«io» non è ancora nemmeno considerato, e per molti altri ancora l’«io» è un punto di arrivo (già riuscire a essere se stessi è una grande conquista), per i nati sotto questi angeli l’io è addirittura una porta (la Hé!), l’inizio di una via, oltre la quale sono impazienti di avventurarsi. Perciò il «noi» può annoiarli e opprimerli, così come fermarsi alla semplice accettazione e soddisfazione dell’«io». 

Il nome di Vehuel significa “Dio che magnifica e innalza”.

  

Il dono dispensato da Vehuel è l’ELEVAZIONE.

 Vehuel è definito l’angelo più sublime ed esaltato, quello che riunisce, fonde e compenetra in sè i piaceri del Cielo e della Terra: intensifica le percezioni sensoriali e crea splendore, fisico e morale, intorno ai suoi protetti che si affidano a lui, i quali sono persone seducenti e capaci di toccare il cuore. Dice Haziel che Vehuel fa scoprire agli Umani la bellezza dell’Ordine Divino; ma perché ciò possa accadere promuove l’alleanza fra quanti si assomigliano, affinché, una volta riuniti, possano edificare insieme una nuova società basata sulla gioia comune. I suoi nati, dunque, assimilano, per così dire incorporano gli amici alla propria essenza, perché Vehuel è l’Angelo della perfetta amicizia. E’ anche angelo di consolazione, da invocare ogni volta che il nostro spirito è triste e contrariato, per i nostri turbamenti personali o per compassione verso le tribolazioni del mondo, per riceverne conforto e speranza. Sappiamo che secondo la Kabbalah tre versetti dell’Esodo (ciascuno composto da 72 lettere), celano il codice dei 72 Nomi di Dio; e precisamente i versetti 19, 20 e 21 del capitolo 14. Riguardo alle origini delle lettere nel trigramma-radice di questo Nome, waw-he-waw, la prima lettera Waw (gancio) proviene da: “Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò indietro” (Esodo, 14, 19).  La Hé (finestra) viene da (Esodo, 14, 20): “venendosi a trovare fra l’accampamento degli Egiziani e quello di Israele“; mentre la seconda Waw proviene da (Esodo 14, 21): “e l’Eterno, durante tutta la notte, ritirò (prosciugò) il mare con forte vento da Oriente“. Il rebus formato da queste 3 lettere dà l’immagine della giustizia e del risarcimento morale; questi segni suggeriscono anche che Vehuel aiuta a trovare la propria direzione. Vehuel, considerato l’angelo che aiuta a elevarsi verso il divino, ci fa comprendere che noi siamo parte di un tutto che non è un insieme di parti separate, quanto un solo organismo in cui tutto è totalmente interconnesso.

Vehuel secondo Sibaldi.

Wehewu’el waw-he-waw

«La mia energia è da ogni parte protetta e nascosta»

 Le tre lettere principali di questo Nome sono uguali a quelle del reboante Wehewuyah dell’inizio di primavera: due waw, che raffigurano il nodo e l’ostacolo, attorno a una he, simbolo dell’anima e dell’invisibile. Ma Wehewuyah era del Coro dei Serafini, Angeli della volontà suprema, e per lui le waw rappresentavano una sfida irritante, un assedio da spezzare. Con Wehewu’el siamo invece nel Coro dei Principati, delicati Angeli della bellezza: e le due waw, qui, somigliano piuttosto alle torri di un castello, in cui animi nobili trovano riparo da un mondo che a loro non piace. I Wehewu’el hanno, in realtà, la strana caratteristica di tenere aristocraticamente nascoste le loro migliori qualità. Alla gente (e spesso anche ai propri famigliari) ne mostrano altre, costruite apposta, come maschere: a volte mediocri, a volte addirittura scadenti, come se godessero nell’apparire inferiori a ciò che veramente sono. E non è per modestia. La gente, semplicemente, li ha profondamente delusi; troppa volgarità, ottusità e meschinità hanno trovato attorno a sé fin dall’infanzia: sono troppo brutti gli yahoo, direbbe il Wehewu’el Jonathan Swift – che ne I viaggi di Gulliver aveva ribattezzato «yahoo» la specie umana – e perciò non meritano di aver libero accesso ai grandi tesori che ogni Wehewu’el sa di possedere in sé stesso. Gli si potrebbe obiettare che è lui a volerli vedere così, e che i nostri simili hanno pure qualche tratto buono e interessante, anche se certamente non tutti. Ma un Wehewu’el non ne vorrà sapere, risponderà con un sorriso vago, che a moltissimi sembra ipocrita – la cosa non lo tocca minimamente. In qualche raro momento di confidenza potrà raccontarvi che ha provato anche lui a vedere del buono negli yahoo, e varie volte se n’è fidato, ma invano. Voi avrete, giustamente, il sospetto che in qualche modo il Wehewu’el se le sia andate a cercare, quelle esperienze tristi di cui parla: ma in tal caso potrà rispondervi che non ha fatto proprio nessuna fatica a trovarle. E lì la conversazione su quest’argomento potrà anche aver fine. Il Wehewu’el, d’altra parte, ritiene di stare benissimo da solo. In cima alla torre più alta del suo castello interiore, la sua brillante intelligenza può fargli scoprire ogni giorno cose nuove, se ha saputo nutrirla di cultura; se no, ragiona limpidamente sulle notizie del giornale e comprende come pochi altri le dinamiche politiche, sociali e soprattutto morali del suo tempo; oppure, se ha sviluppato interessi spirituali, medita e contempla verità grandiose. Ma non ve ne parlerà mai. Forse ne racconterà qualcosa al suo gatto, o al suo cane, poiché i Wehewu’el amano molto gli animali; oppure ai bambini, altra loro passione, purché siano abbastanza piccoli da non essere stati ancora contaminati dal mondo scadente dei loro genitori. Ricordate Harpo Marx, con il suo personaggio muto e sempre occupatissimo a rendere ridicoli gli adulti? Harpo era nato il 23 novembre. Anche Collodi era di quest’Angelo: e non è un semplice caso, dunque, se stranissimamente Le avventure di Pinocchio non venne notato da nessuno se non dai bambini, finché il suo autore visse; e come prevedendolo (e forse anche desiderandolo, chissà), quando decise di stamparlo in volume, Collodi si rifiutò di firmare il contratto che gli garantiva i diritti d’autore: lo pubblicò gratis, insomma, per esprimere tutto il suo disprezzo per quel pubblico che i suoi colleghi si affannavano invece a compiacere. Certamente meno orgoglioso fu, per i diritti d’autore, Charles M. Schulz, l’autore dei Peanuts, ma noterete che tra i suoi personaggi non compaiono mai gli adulti, quasi fosse sottinteso che non avrebbero potuto capire in alcun modo le profonde riflessioni filosofiche di Charlie Brown, Linus e Snoopy, o l’arte pianistica di Schroeder. E Laurence Sterne, il più originale autore del Settecento inglese, costruì il suo Vita e opinioni di Tristram Shandy sulla finta intenzione di scrivere una biografia del suo protagonista: ma in settecento pagine non ne narrò che i primi quattro anni – come se solo quelli contassero – e godette invece nel dipingergli intorno un ambiente di parenti e servitori terribilmente spassosi, con i loro tic e le loro follie di adulti «normali». Nei nostri dintorni, Wehewu’el sono molti dei camerieri che al ristorante ci guardano dall’alto in basso, sorridendo del nostro modo di esitare davanti al menu; e così pure insegnanti e impiegati di second’ordine, casalinghe e custodi che avrebbero potuto svolgere egregiamente mansioni illustri, ma che in fondo al cuore hanno invece ritenuto una concessione eccessiva mostrare al prossimo quanto valgono. Si troverebbero altrettanto bene in qualsiasi attività che richieda o induca una notevole dose di scetticismo nei riguardi degli ideali altrui: come – almeno in certi Paesi, il nostro incluso – i funzionari di ministero o di ambasciata, o i militari di carriera. Il grosso problema è che tra le doti dei Wehewu’el, come di quasi tutti i protetti dei Principati, si trova anche quella speciale variante d’Energia Yod che i qabbalisti chiamano «consolazione»: una sorta di impercettibile effluvio risanatore che, quando viene usato, ha il potere di dissolvere negli altri la rabbia, il rancore, il rimpianto e il rimorso, i quattro terribili errori psicologici, cioè, che rendono il nostro organismo più vulnerabile alle malattie. E dato che, proprio come l’Energia Yod, anche la «consolazione» si vendica di chi non la usa – causando in lui gli stessi disagi che avrebbe potuto curare – e che l’unico modo di usarla è rivolgersi agli altri con simpatia e fiducia, e parlare, confidarsi, e condividere sentimenti, ne consegue che la solitudine e il riserbo dei Wehewu’el finiscono con l’essere, per loro, piuttosto rischiosi. Dovrebbero scendere almeno un po’ dalla torre, se non altro per amore della propria salute. Ma l’unica cosa che possa veramente costringerli a farlo sarebbe un ideale, lo slancio che dà il pensiero di avere una missione nel mondo – una qualsiasi, non importa quale. E occorre un miracolo perché ne trovino uno e riescano a crederci abbastanza a lungo, senza che il loro cuore si inacidisca. Il Wehewu’el Augusto Pinochet ebbe forse qualche ideale del genere in gioventù, ma poi, quando giunse al sommo del suo lugubre potere, si sa come andò a finire per gli sventurati yahoo cileni che dovettero subirne la dittatura.

Il bambino Wehewu’el.

Pochi bambini sanno godersi così bene gli ultimi anni della propria infanzia: l’eroismo cavalleresco, le appassionate amicizie, il senso di libertà (non sapere ancora cosa siano gli orologi!), e soprattutto la sensazione, talmente netta, che gli adulti appartengano a un’altra dimensione nella quale non si ha la benché minima fretta di arrivare; tutte queste condizioni rimarranno poi sempre, nell’animo dei Wehewu’el, come le uniche in cui valga veramente la pena vivere. Compito delicatissimo dei loro genitori sarà quello di rendere il meno indolore possibile il passaggio dall’infanzia alle età successive: e possono riuscirci soltanto se sapranno far capire (con l’esempio soprattutto) che in tale passaggio può anche non perdersi tutto, e che si può rimanere bambini nel cuore. Al contempo, bisognerà attutire l’impatto dei piccoli Wehewu’el con la spigolosa ottusità e mediocrità del mondo adulto: questioni come l’interesse economico, la carriera, i doveri civili o il riguardo per le convenzioni rischiano di scoraggiarli e incupirli irrimediabilmente. E quanto a questo, non c’è formula già pronta che sia d’aiuto, e agli angosciosi «Perché?» dei Wehewu’el si potrà cercare di rispondere soltanto chiamando in aiuto l’ispirazione. Forse la cosa migliore è rispondere soltanto «Non lo so», quando si è proprio messi alle strette, e sperare che il piccolo, crescendo, diventi un filosofo e aiuti voi a trovare risposte più sostanziose.

Claviculae Angelorum:

Protezione contro la rassegnazione. Grande energia. Indifferenza per la morale altrui. Protezione contro l’eccessivo senso di superiorità. Ricerca della verità attraverso la contemplazione. Scoperta della propria missione.

Qualità di Vehuel e ostacoli dall’energia “avversaria”.

Le qualità che sviluppa Vehuel sono generosità d’animo, disponibilità verso gli altri, valori morali, personalità acuta e sensibile; gioia, amicizia, altruismo, tolleranza, capacità di cogliere il bello ovunque, e anche di riappacificare i contendenti. Concede successo nei campi della giurisprudenza, delle lettere, dell’insegnamento e della diplomazia. Dona protezione dai furti e dagli incidenti. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Onéi e rappresenta l’egoismo e l’avidità. Ispira odio, egoismo, egocentrismo, ipocrisia, intolleranza; causa despotismo, crudeltà, abusi di potere.

Meditazione associata al Nome: felicità.

La meditazione associata a Vehuel si chiama “felicità” e ci aiuta a discernere, e a saper scegliere, fra il piacere momentaneo e la felicità duratura. Questo processo può passare per delle fasi di rinuncia, il cui vero scopo è portarci a comprendere i veri bisogni della nostra anima, che restano nascosti sotto le pulsioni superficiali, che tengono verso gli egoismi e gli appagamenti più effimeri.  L’insegnamento cabbalistico legato a questa meditazione è quello del famoso detto: “attento a ciò che desideri! potresti ottenerlo”; un monito che allude alla verità per cui la nostra anima raggiunge la gioia solo quando la nostra vita si sintonizza con le sue aspirazioni più elevate.

Meditazione.

Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione:

trovo la forza per dissipare i miei sentimenti egoistici: per l’energia di questo Nome chiedo e ottengo ciò di cui la mia anima ha veramente bisogno, non quello che il mio ego crede di desiderare. La mia anima si espande: sento di apprezzare profondamente ogni cosa che la vita mi offre e mi sento permeare dalla felicità.

Esortazione angelica.

Vehuel esorta alla gioia, all’espansione, alla tolleranza più autentica nella comprensione dell’unità fra noi e ogni altro essere e cosa.

Giorni e orari di Vehuel.

Se sei nato nei suoi giorni di reggenza Vehuel è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 25 febbraio, 9 maggio, 23 luglio, 5 ottobre, 16 dicembre; ed egli governa ogni giorno, come “angelo della missione”, le energie dalle h.16.00 alle 16.20. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l’orario migliore in cui tutti lo possono invocare. La preghiera tradizionale rivolta a Vehuel è il versetto: Magnus Dominus et laudabilis nimis, et magnitudinis eius non est investigatio (Sal.145,3 – Grande è il Signore e degno di ogni lode, la sua grandezza non si può misurare).

SIMBOLOGIA OCCULTA.

Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.

A ciascuna delle 22 lettere ebraiche sono associati dei numeri, dunque ad esse possono venire associate anche corrispondenze con le relative simbologie dei 22 Arcani maggiori dei Tarocchi; questo può essere interessante per chi desidera interrogare questi simboli sul piano dell’introspezione psicologica. In questo caso la radice waw-he-waw risponde alla configurazione: “l’Innamorato – il Papa” – l’Innamorato, da cui la riflessione interiore suggerita dalle domande rivolte da questi arcani: chiede l’innamorato (l’androgino divino, il libero arbitrio, la ricerca della Luce): in quali relazioni mi trovo coinvolto? Che scelte devo operare? Chiede il Papa: cosa dice la Tradizione, la Legge? Cosa comunico e con quali mezzi? Sto trasmettendo qualcosa a qualcuno? Ho un ideale? Chiede nuovamente l’innamorato: in quali relazioni mi trovo coinvolto? Che scelte devo operare?

CORI DI APPARTENENZA E ARCANGELI DI INFLUENZA.

Rimando infine al Coro e alle energie arcangeliche che dispensano influenze ai nati fra il 23 e il 27 novembre. L’angelo Vehuel appartiene al Coro degli Angeli Principati guidato dall’Arcangelo Haniel. Il segno del sagittario cade sotto il gioioso Arcangelo Hesediel, mentre la decade che qui interessa (23 novembre-2 dicembre) è sotto il severo arcangelo Camael.

Con amorevolezza vi rinvio a tali entità angeliche: i nati in questi giorni sono invitati a consultarle, insieme a quella del loro Angelo Custode Vehuel. Infatti anche le energie di questi Arcangeli sono al loro fianco. Infine bisogna ricordare che una specifica influenza sulla persona è esercitata anche dall’Angelo che aveva reggenza nell’orario della nascita.

 

Daniel, angelo 50, dei nati dal 28 novembre al 2 dicembre.

 Daniel, o Daniy’el, è il 50esimo Soffio e il secondo raggio angelico nel Coro venusiano degli Angeli Principati, nel quale amministra le energie di Saturno. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dal 5° al 10° del Sagittario ed è l’Angelo Custode dei nati dal 28 novembre al 2 dicembre. I sei Angeli Custodi del Sagittario sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati persone leali, gentili, energiche e indipendenti, capaci di gestire il potere ma anche di essere generosi con i deboli e gli oppressi; orgogliosi e impulsivi, questi nati sono anche pronti a dimenticare i torti. Secondo Sibaldi i 6 angeli del Sagittario hanno anche una caratteristica specifica: sono accomunati da qualità molto simili tra loro, il che non si riscontra nelle energie angeliche di nessun altro segno zodiacale: è semmai molto raro che due Angeli dello stesso segno si somiglino. Questi 6 Principati, invece, sembrano essere una sorta di variazione sullo stesso tema esistenziale, che Sibaldi chiama “il Castello”: quello che sembra rappresentato, fra 2 torri, nel pittogramma delle 3 lettere-radice del  Nome  di Vehuel (il primo dei Principati). E aggiunge che i Principati, appunto, sono gli Angeli della Bellezza: Dante, nel pieno rispetto della Qabbalah, li colloca nel terzo cielo del Paradiso, quello di Venere.

La bellezza è quel qualcosa che si coglie nelle forme, ma che supera le forme stesse: e tutti i loro protetti sembrano appunto porsi, sul piano esistenziale, come “in alto” rispetto agli altri, in quanto cercano in sé stessi una forma di identità più alta, più grande del semplice «io». Se per moltissimi che si accontentano di appartenere a un qualche «noi» (nazione, squadra, azienda, famiglia, religione, razza) l’«io» non è ancora nemmeno considerato, e per molti altri ancora l’«io» è un punto di arrivo (già riuscire a essere sé stessi è una grande conquista), per i nati sotto questi angeli l’io è addirittura una porta (la Hé!), l’inizio di una via, oltre la quale sono impazienti di avventurarsi. Perciò il «noi» può annoiarli e opprimerli, così come fermarsi alla semplice accettazione e soddisfazione dell’«io». 

 Il nome di Daniel significa “Segno di misericordia”.

Il dono dispensato da Daniel è l’ELOQUENZA e la CAPACITA’ DI PERSUASIONE.

Con questo dono non si intende la capacità di fare uso di parole altisonanti o di frasi ricercate ma, al contrario, la capacità di esprimersi con semplicità, sapendo toccare il cuore e le emozioni; un dono che aggiunge carisma a personalità forti.

Dice Haziel che questo angelo stimola l’amore per il comando. Per il suo potere la persona sarà portata a dirigere, fruirà di rango e funzioni elevati. Parallelamente Daniel assicura la simpatia dei dirigenti. Di conseguenza i suoi protetti non faticheranno a trovare un impiego né ad accedere a posizioni di notevole responsabilità. Tutto ciò che la personalità Daniel saprà realizzare sarà caratterizzato da una bellezza straordinaria, clamorosa, rutilante. Qualora la sua professione sia l’architetto, progetterà stabili di cospicua bellezza, ricchi di dettagli singolari, che varranno a distinguerli collocandoli a un livello decisamente superiore a quello dell’edilizia utilitaria. In effetti i nati sotto questo angelo hanno grande finezza di comportamento, discernimento e senso della giustizia, e grazie alla loro eloquenza sono anche i migliori difensori possibili; si può dire che siano giudici o avvocati nati, anche se non esercitano queste professioni. Non per niente Daniel si prega soprattutto per questioni legali. Ma sebbene venga indicato come l’angelo che “serve per ottenere la misericordia di Dio” e che “domina la giustizia, gli avvocati, i procuratori e tutti i magistrati”, la sua funzione più importante è nella vita di tutti i giorni, e sta nell’ispirare in modo positivo chi, dovendo prendere una decisione importante, si sente in preda all’incertezza. Sul piano esistenziale Daniel conduce a distaccarsi dalla materia per percepire la verità nella sua essenza; ma affidarsi al suo aiuto porta anche i suoi protetti a sviluppare il dono, in loro innato, di uno spiccato sesto senso per gli affari. Sappiamo che secondo la Kabbalah tre versetti dell’Esodo (ciascuno composto da 72 lettere), celano il codice dei 72 Nomi di Dio; e precisamente i versetti 19, 20 e 21 del capitolo 14. Riguardo alle origini delle lettere nel trigramma-radice di questo Nome, daleth-nun-yod, la prima lettera Dalet (porta) proviene da: “Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò indietro” (Esodo, 14, 19).  La Noun (pesce) viene da (Esodo, 14, 20): “venendosi a trovare fra l’accampamento degli Egiziani e quello di Israele“; mentre la Yod proviene da (Esodo 14, 21): “e l’Eterno, durante tutta la notte, ritirò (prosciugò) il mare con forte vento da Oriente“. Il rebus formato da queste 3 lettere dà l’immagine dell’accesso al proprio Sé superiore. Daniel è considerato l’angelo che dispensa il potere d’azione della personalità (interpr. Muller-Baudat).

Daniel secondo Sibaldi.

Daniy’el daleth-nun-yod

«Io giudico ciò che si è manifestato»

Dn, in ebraico, è una radice che significa «giudicare», ma in base a un’idea di giustizia lievemente diversa da quella che solitamente pratichiamo noi. Noi riteniamo che sia già gran cosa riuscire a pesare e punire, o premiare, le azioni in base a certi principî che la maggioranza ritiene validi. Dn, invece, è il valutare le azioni in base alle loro conseguenze: la lettera daleth indica, in geroglifico, «la capacità di separare, di distinguere», e la nun «i risultati dell’agire». Si tratta dunque di un modo più realistico di fare chiarezza, di comprendere i comportamenti umani; dal punto di vista, poi, di chi ha compiuto o subito un’azione sbagliata, dn fa balenare anche un’idea diversa del perdono. Per noi, infatti, perdonare qualcuno significa sostanzialmente rinnegare, nel suo caso, i principî di giustizia, dimenticarli o ritenerli meno importanti dell’individuo (e il rischio è, naturalmente, che a forza di perdonare in tal senso, quei principî finiscano con l’indebolirsi); mentre nel dn è inclusa anche l’idea che si debba sempre «separare» l’individuo dalle azioni che ha commesso: e che dunque chi ha rubato non sia per ciò stesso un ladro, ma semplicemente uno che a un certo punto ha commesso un furto; e, allo stesso modo, che chi ha sbagliato vita non sia un fallito, e chi ha patito un torto non sia una vittima, e via dicendo. Dayan, «giudice», diventerebbe insomma colui che, dopo aver analizzato qualche guaio, ha il dono di dire a chi vi era coinvolto: «Ecco, è passata, sei di nuovo tu: ora puoi vedere meglio, imparare da ciò che è avvenuto e ricominciare in un altro modo». E i Daniy’el hanno precisamente questo potere, e possono trarne grande vigore, ispirazione e gioia. Sono per loro natura saggi e sensibili, avidi di verità e altruisti: mentre la maggioranza degli uomini si ritrae inorridita o disgustata dinanzi agli errori o ai guai di un loro simile, i Daniy’el ne sono attratti per vocazione, sentono il profondo impulso a sciogliere i lacci che legano il futuro altrui, come se quel futuro fosse il loro. Brillano dunque in qualsiasi campo dell’assistenza: come operatori sociali, specialisti della riabilitazione, educatori in scuole difficili; talvolta diventano una benedizione anche come psicologi, benché non dispongano di una specifica Energia Yod. Ma, a parte questi loro ambiti più appropriati, vale sempre la regola secondo cui quanto più uno scopre e sviluppa le doti del suo Angelo, tanto più si estende il suo campo d’azione: e, quindi, quale che sia la professione di un Daniy’el, la scoperta e lo sviluppo dei suoi impulsi a migliorare la sorte altrui non potrà che accrescere la sua fortuna. Era Daniy’el Friedrich Engels, che trascurò la sua florida ditta per togliere dalle ristrettezze economiche Karl Marx e finanziare la diffusione delle sue opere: ed elaborò insieme con lui la più celebre delle ideologie moderne in difesa degli sfruttati e il miglior sistema – a tutt’oggi – di scindere e analizzare le componenti e le forze di una società ingiusta. È Daniy’el anche Woody Allen, che nelle sue opere analizza lui pure, meticolosamente, le dinamiche dei lacci psicologici e morali che imprigionano la personalità dell’individuo civilizzato, apparentemente normale. E individuare un laccio, nella vita interiore come anche nella società, vuol già dire aver cominciato a sciogliersene: il dn si basa su quella fondamentale legge del limite, per la quale nessuno che abbia visto un proprio limite ne rimane davvero bloccato, poiché sarebbe stato impossibile vederlo se non si fosse già giunti più in là di esso. Perciò i «giudizi» dei Daniy’el hanno sempre un effetto corroborante: alita dalle loro analisi lo slancio di una nuova voglia di vivere, di nuove speranze, oltre che la viva percezione di una vittoria morale, magari su noi stessi, quando vediamo che qualche nostra sconfitta è dipesa soltanto da un nostro comportamento errato, e (dn!) ci accorgiamo che nulla ci impedisce di comportarci altrimenti da lì in poi. Quanto invece al delineare progetti concreti per un avvenire migliore, i Daniy’el non sono altrettanto precisi e attendibili. Il loro compito è giudicare, non costruire. Il Daniy’el Winston Churchill, per esempio, fu un’ottima guida per gli inglesi nelle loro circostanze più critiche, nella Prima come nella Seconda guerra mondiale, ma rivelò una scarsa lungimiranza nei periodi postbellici. Nella direzione del futuro, l’immaginazione danieliana sembra evaporare, come se si dissolvesse non appena i guai del presente e del passato cessano di ancorarla alla realtà; e solo in arte certe loro dissolvenze riescono meravigliosamente – nelle visioni di William Blake, per esempio, o nelle ville di Palladio. Ma tant’è: i Daniy’el consapevoli avranno comunque da fare a sufficienza, nel presente, per il bene di moltissimi. Feroci sono invece le conseguenze di un loro eventuale rifiuto dei propri talenti. Un Daniy’el che decida di occuparsi soltanto del proprio personale benessere viene regolarmente assediato da inconvenienti, che gli faranno desiderare per sé proprio ciò che avrebbe dovuto fare per gli altri. La vita lo porrà in situazioni di sconfitta, di oppressione, di disperazione anche, tanto più dure quanto più proverà a desiderare qualcosa e a esporsi per ottenerla. Un’unica via d’uscita, assai magra, la troverebbe nel tenersi da parte in tutto, in una qualche professione-guscio, senza azzardare mai nulla, senza mai nemmeno tentare di conoscere la propria autentica personalità (perché anche questo sarebbe un desiderio, e dunque un esporsi): un po’ come la maschera che proprio Allen ama indossare nei suoi film, per esorcizzarla. Così dimesso e impaurito, il Daniy’el renitente non avrebbe che da perdersi in una qualche massa e fluire con essa, sperando che a quella massa non capiti nulla di male, o che eventualmente salti fuori un qualche Daniy’el sveglio e volonteroso a soccorrerla nelle fasi critiche.

Il bambino Daniy’el.

Stanziate tempo in abbondanza, da dedicare alle discussioni con i piccoli Daniy’el: cominceranno presto a tempestarvi di domande, dubbi e di insistenti «Sì, ma…» Non scappate, non spazientitevi, non cercate di cavarvela con sottigliezze, né tantomeno con la vile scorciatoia del «Quando sarai più grande capirai». Sono in gioco, infatti, sia la vostra autorevolezza di genitori, sia il loro equilibrio emozionale. Aspramente critici per natura, facilmente inclini al pessimismo, i piccoli Daniy’el hanno assoluto bisogno di verificare se il mondo sia veramente così brutto come lo vedono, e se gli adulti siano proprio tutti così ottusi come sembrano. Se la risposta sarà affermativa su entrambi i punti, non vi sarà più confine ai loro capricci e alle loro debolezze infantili – e al loro sconforto, alle loro manie e alla loro ossessiva autocritica quando saranno più grandi. Se invece almeno sulla seconda questione riuscirete a suscitare in loro dei dubbi, avranno qualche punto su cui far leva per cercare di cambiare le cose (sono nati per questo) e, come diceva Archimede, basta un punto d’appoggio per sollevare il globo. Eh sì: dipende moltissimo da voi. Leggete un po’ di più, riflettete come forse non eravate più abituati a fare, e tenete duro. Vi stimeranno. Vi stimerete anche voi.

Claviculae Angelorum:

Protezione contro la rassegnazione. Il perdono delle offese. Protezione contro le sconfitte. Protezione contro la disperazione. Saper desiderare e coltivare la bellezza. Ritrovare il vigore perduto.

 Qualità di Daniel e ostacoli dall’energia “avversaria”.

Le qualità che sviluppa Daniel sono concretezza; capacità di sintesi e di analisi; profondità di ragionamento e semplicità d’espressione; amore per la bellezza e l’arte. Concede i doni dell’eloquenza o del canto; carattere magnetico, capace di consolare ed aiutare gli altri: i suoi protetti infatti sono riflessivi, buoni consiglieri, portatori di armonia e di giustizia nel senso più umano del termine. Dona protezione dagli aggressori. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Sbarionath e rappresenta il pessimismo e il rancore. Causa intransigenza, eccessiva severità, accusa, delazione, frode. Ispira a vivere con mezzi illeciti.

Meditazione associata al Nome: abbastanza non è mai abbastanza.

 La meditazione associata a Daniel si chiama “abbastanza non è mai abbastanza”; secondo la Kabbalah infatti questo Nome offre uno strumento meditativo efficace per prendere coscienza del proprio valore e anche di quali sono le cose di cui realmente abbiamo bisogno e per cui ci dobbiamo impegnare. Comprendere che si merita di più (nel senso profondo e non delle mere acquisizioni materiali) aiuta a capire se nella nostra vita stiamo accettando compromessi che finiscono per mortificarci. A volte infatti “ci accontentiamo” nel senso che ci svendiamo, finendo per sottovalutarci e per rinunciare ad aspirare a una vera realizzazione.

Meditazione.

Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione:

per l’energia di questo Nome chiedo aiuto nell’individuare i veri obiettivi per la mia felicità. I miei occhi e il mio cuore restano focalizzati tutto il tempo sull’obiettivo finale. Risveglio la perseveranza e la passione, la determinazione a non accontentarmi mai, ma proprio mai, del meno.

 

Esortazione angelica.

Daniel esorta a divenire giudici attenti di sé stessi e del mondo, e ad esercitare tutta la clemenza, la compassione e la fiducia necessarie per sviluppare i propri talenti; con il suo aiuto invita a trarre il meglio da sé stessi, dagli altri e dalle circostanze, nell’interesse di tutti.

Giorni e orari di Daniel.

Se sei nato nei suoi giorni di reggenza Daniel è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 26 febbraio, 10 maggio, 24 luglio, 6 ottobre, 17 dicembre; ed egli governa ogni giorno, come “angelo della missione”, le energie dalle h.16.20 alle 16.40. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l’orario migliore in cui tutti lo possono invocare. La preghiera tradizionale rivolta a Daniel è l’8° versetto del Salmo 103: Miserator et misericors Dominus, longanimis et multae misericordie (il Signore è buono e misericordioso, lento all’ira e grande nell’amore)

SIMBOLOGIA OCCULTA.

Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.

A ciascuna delle 22 lettere ebraiche sono associati dei numeri, dunque ad esse possono venire associate anche corrispondenze con le relative simbologie dei 22 Arcani maggiori dei Tarocchi; questo può essere interessante per chi desidera interrogare questi simboli sul piano dell’introspezione psicologica. In questo caso la radice daleth-nun-yod risponde alla configurazione: “l’Imperatore – la Temperanza- la Ruota”, da cui la riflessione interiore suggerita dalle domande rivolte da questi arcani: chiede l’Imperatore (stabilità, dominio sul mondo materiale): come va il mio lavoro, la mia vita materiale? Cosa sto costruendo? In che rapporti sono con mio padre, con l’idea di potere? Chiede la Temperanza (protezione, circolazione, guarigione): cosa mi protegge? Quale rapporto devo mantenere con me stessa? Cosa devo curare? Chiede la Ruota (il ciclo del mutamento): che ciclo si è concluso, cosa devo cambiare? Quali sono le mie opportunità? Cosa mi aiuta? Cosa sto ripetendo? Quale enigma emozionale mi blocca?

CORI DI APPARTENENZA E ARCANGELI DI INFLUENZA.

Rimando infine al Coro e alle energie arcangeliche che dispensano influenze ai nati fra il 28 novembre e il 2 dicembre. L’angelo Daniel appartiene al Coro degli Angeli Principati guidato dall’Arcangelo Haniel. Il segno del sagittario cade sotto il gioioso Arcangelo Hesediel, mentre la decade che qui interessa (23 novembre – 2 dicembre) è sotto il severo Arcangelo Camael. Con amorevolezza vi rinvio a tali entità angeliche: i nati in questi giorni sono invitati a consultarle, insieme a quella del loro Angelo Custode Daniel. Infatti anche le energie di questi Arcangeli sono al loro fianco. Infine bisogna ricordare che una specifica influenza sulla persona è esercitata anche dall’Angelo che aveva reggenza nell’orario della nascita.

 

Hahasiah, angelo 51, dei nati dal 3 al 7 dicembre.

 Hahasiah, o Hahashiyah, è il 51esimo Soffio e il terzo raggio angelico nel Coro venusiano degli Angeli Principati, nel quale amministra le energie di Giove. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dal 10° al 15° del Sagittario ed è l’Angelo Custode dei nati dal 3 al 7 dicembre. I sei Angeli Custodi del Sagittario sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati persone leali, gentili, energiche e indipendenti, capaci di gestire il potere ma anche di essere generosi con i deboli e gli oppressi; orgogliosi e impulsivi, questi nati sono anche pronti a dimenticare i torti. Secondo Sibaldi i 6 angeli del Sagittario hanno anche una caratteristica specifica: sono accomunati da qualità molto simili tra loro, il che non si riscontra nelle energie angeliche di nessun altro segno zodiacale: è semmai molto raro che due Angeli dello stesso segno si somiglino. Questi 6 Principati, invece, sembrano essere una sorta di variazione sullo stesso tema esistenziale, che Sibaldi chiama “il Castello”: quello che sembra rappresentato, fra 2 torri, nel pittogramma delle 3 lettere-radice del Nome di Vehuel (il primo dei Principati). E aggiunge che i Principati, appunto, sono gli Angeli della Bellezza: Dante, nel pieno rispetto della Qabbalah, li colloca nel terzo cielo del Paradiso, quello di Venere. La bellezza è quel qualcosa che si coglie nelle forme, ma che supera le forme stesse: e tutti i loro protetti sembrano appunto porsi, sul piano esistenziale, come “in alto” rispetto agli altri, in quanto cercano in sé stessi una forma di identità più alta, più grande del semplice «io». Se per moltissimi che si accontentano di appartenere a un qualche «noi» (nazione, squadra, azienda, famiglia, religione, razza) l’«io» non è ancora nemmeno considerato, e per molti altri ancora l’«io» è un punto di arrivo (già riuscire a essere sé stessi è una grande conquista), per i nati sotto questi angeli l’io è addirittura una porta (la Hé!), l’inizio di una via, oltre la quale sono impazienti di avventurarsi. Perciò il «noi» può annoiarli e opprimerli, così come fermarsi alla semplice accettazione e soddisfazione dell’«io». 

Il nome di Hahasiah significa “Dio occulto”.

Il dono dispensato da Hahasiah è la PANACEA, o la PIETRA FILOSOFALE.

 Dice Haziel che questo angelo incita la persona a esteriorizzarsi esprimendo, come fossero i propri, i valori che egli vi infonde: pace, armonia, spirito conviviale, unione benevola fra tutti, garbo e fratellanza a livello universale. Ed ecco così il desiderio di compiere gesti edificanti e nobili, l’aspirazione a comportarsi in modo sublime, suscettibile di procacciare ammirazione; spesso il suo protetto è dunque una persona difficile da superare, soprattutto nei principi. L’Amore sarà posto al servizio del Disegno Divino nella sua fase di esteriorizzazione, il soggetto si sentirà totalmente identificato con la propria Missione. Le gravi difficoltà che si possono incontrare nella vita, però, o le aspirazioni della personalità superficiale verso valori materiali potranno causare conflitti interiori, causando così l’ingresso dell’Angelo contrario a Hahashiyah (Gilarion), il quale incoraggia il rancore. Tuttavia la ribellione rancorosa, che a sua volta imprigiona, potrà non aver seguito grazie all’intervento di questo angelo, che fa dono della sottomissione al proprio Sé superiore, e dunque della forza necessaria per affrontare, senza perdersi, la vita con tutti i suoi inganni e le sue difficoltà: Hahashiyah impone il rispetto della vera autorità, sicché la biblica espressione della Preghiera al Padre ‘sia fatta la Tua Volontà’ acquisterà pienamente il suo significato. La persona sarà impegnata in missioni imperniate sull’Amore; per sua Virtù l’Amore verrà interiorizzato, facendolo affluire dalle energie dispensate da questo angelo, e poi riversato sul mondo. Si dice dunque che questo angelo è portatore principalmente di bontà infinita. Secondo il testo tradizionale fa scoprire i misteri del Bene e della natura guidando verso la Pietra Filosofale, cioè il valore inestimabile (panacea) che scaturisce dalla profonda saggezza. Sul piano scientifico Hahashiyah esercita la sua influenza sulle attività quali la chimica, la fisica e la medicina, promuovendo le scoperte che possono alleviare le sofferenze degli esseri umani. Molti dei suoi protetti, in virtù di meriti acquisiti nelle loro vite precedenti, potranno giungere a possedere un sapere enorme, impressionante, non frutto (solo) di esperienza o di studi, ma infuso direttamente dall’Angelo. Una tale persona potrà chiedere e ottenere anche poteri per guarire se stessa e gli altri; potrà restituire salute fisica e spirituale rendendo provvidenziale la propria opera.

Sappiamo che secondo la Kabbalah tre versetti dell’Esodo (ciascuno composto da 72 lettere), celano il codice dei 72 Nomi di Dio; e precisamente i versetti 19, 20 e 21 del capitolo 14. Riguardo alle origini delle lettere nel trigramma-radice di questo Nome, daleth-nun-yod, la prima lettera Hé (finestra) proviene da: “Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò indietro” (Esodo, 14, 19).  La Hét (barriera) viene da (Esodo, 14, 20): “venendosi a trovare fra l’accampamento degli Egiziani e quello di Israele“; mentre la Shin (dente) proviene da (Esodo 14, 21): “e l’Eterno, durante tutta la notte, ritirò (prosciugò) il mare con forte vento da Oriente“. Il rebus formato da queste 3 lettere, in relazione alla loro origine, dà l’immagine della concordia sociale e suggerisce l’idea che questa Energia aiuti a trovare, e a prendere, il buono che esiste in ogni cosa, anche in quelle dove è più difficile vederlo. La sua grazia concede dunque, anche nelle condizioni più difficili, la capacità di vivere (interpr. Muller-Baudat).

Hahasiah secondo Sibaldi.

Hahashiyah he-heth-shin

«La mia energia lavora per la conoscenza»

 Vi è un’intima parentela tra questo Principato e gli sprezzanti Wewuhe’el: anche gli Hahashiyah amano la solitudine e la contemplazione, e scuotono tristemente il capo guardando la società dall’alto della loro invisibile torre interiore. Sanno che molto difficilmente l’umanità migliorerà; sospirano pensando a come le immense e luminose doti dei bambini siano quasi sempre destinate a scomparire con l’età adulta, perché il mondo è troppo guasto per apprezzarle e farle fiorire. Ma gli Hahashiyah non hanno alcuna intenzione di rassegnarsi a questo stato di cose: lo prendono piuttosto come una sfida ai loro ideali di bellezza e di verità, e lottano per destare ciò che di meglio vi è nei loro simili. Certo, non sono esattamente dei vincitori, nel senso in cui il mondo intende di solito questa parola: non arriva mai, per loro, il momento in cui sentono di aver adempiuto al loro compito e di potersi concedere una felice ricompensa. Non lo desiderano nemmeno; è come se il loro animo guardasse sempre oltre: la tensione, la voglia e la fatica di raggiungere mete sempre più alte e grandi valgono, per loro, infinitamente più di qualsiasi soddisfazione o applauso. È la loro tenace Energia Yod ad animarli in tal modo: sono medici all’opera per guarire il destino di tutta la loro epoca – e perdere tempo a rallegrarsi per qualche successo inevitabilmente momentaneo va contro i loro solidissimi principî. Ciò ha talvolta l’effetto di renderli antipatici a molti, e in particolar modo a chi lavora con loro o per loro. Corrono il rischio di apparire troppo ambiziosi ed esigenti, intolleranti, maniacali anche; accade che li si veda come veri e propri esaltati e che si parli di loro in termini orribili. Ma è bene che gli Hahashiyah non ci facciano caso: si infurierebbero davvero, se no, vedendo tanto fraintesa la loro dedizione agli ideali; e il loro amore per l’umanità potrebbe tutt’a un tratto trasformarsi in odio e in depressione. È quel che avvenne, per esempio, al Hahashiyah Walt Disney, che – pochi anni dopo avere inventato Topolino e Paperino per la gioia dei bambini di tutto il mondo – in qualche suo accesso di tristezza si vendicò dell’incomprensione di alcuni collaboratori licenziandoli brutalmente, e denunciandoli, pare, all’FBI come pericolosi estremisti di sinistra. Gli Hahashiyah imperturbabili, solitari, appassionati, sono bensì individui meravigliosi. Sono capaci di guardare sempre oltre in molti sensi. Sanno per esempio scorgere negli altri qualità che chiunque ignorerebbe, e sanno destarle, anche, come il Principe Azzurro desta Biancaneve: così l’Hahashiyah Joseph Conrad costruì uno dei suoi personaggi più celebri, Lord Jim, mostrando come un vigliacco possa scoprire in se stesso una vocazione di eroe. Sanno anche intravvedere nel futuro possibilità inaudite, come se davvero scrutassero lontano da una torre; e riescono perciò a sperimentare, osare, realizzare quelli che a tutti sarebbero sembrati sogni impossibili: si pensi ai capolavori dell’Hahashiyah Bernini o, di nuovo, al motto prediletto di Disney: «If you can dream it, you can do it!» E soprattutto non temono di esplorare remote e strane regioni spirituali: hanno per loro natura quel dono che i religiosi chiamano «rivelazione»: quando sono all’opera, cioè, quando creano o quando insegnano (sono infatti anche ottimi insegnanti), capita spesso che si accorgano, improvvisamente, di sapere e di aver detto qualcosa di molto importante, che non avevano mai imparato e a cui non avevano mai nemmeno pensato prima. Se non si lasciano intimidire da questi prodigi, possono sviluppare un talento di occultisti o di mistici: devono soltanto affinare il loro bisogno di conoscenza – raffigurato nella lettera shin, nel Nome del loro Angelo – e abituarsi a quella sensazione che ne proviene, simile a un vento forte che rende nitida l’aria, e spingere avanti la loro immaginazione. Sveleranno misteri, che li guideranno alla scoperta di misteri ancora più grandi, e poi di altri ancora. Poco importa se, in questo, la maggioranza degli uomini non sarà in grado di seguirli: gli Hahashiyah riusciranno sempre a trarre, dalle loro scoperte esoteriche, vigore e contenuti per le loro realizzazioni concrete, quale che sia il campo che si sono scelti, e se la gente non capirà molto di ciò che hanno conosciuto, sentirà tuttavia aumentare sempre di più il loro fascino. Così avvenne, tra gli altri, al Hahashiyah Rainer Maria Rilke, forse il meno letto tra i grandi poeti del Novecento, eppure uno dei più amati, avvolto come da un’aura di santità di una qualche religione non ancora nata. Viceversa, gli Hahashiyah mostrano purtroppo una scarsa disposizione alla conoscenza di se stessi, e soprattutto dei loro lati più quotidianamente umani. Sono talmente presi dai loro scopi superiori, da dimenticare volentieri i propri bisogni: e i bisogni che decidiamo di ignorare si vendicano sempre di noi, degenerando dispettosamente. Può avvenire perciò che un Hahashiyah, dopo aver trascurato troppo a lungo le esigenze del proprio corpo, ceda a una qualche forma di bulimia, o all’alcolismo, o precipiti in un esaurimento che richieda lunghe cure. O che, dopo essersi imposto una solitudine troppo rigorosa, decida di uscirne proprio al momento sbagliato, scambiando per amici persone che non sono affatto tali; o di fidarsi di ciò che una qualche setta o gruppo dice, invece di tenere in debita considerazione anche quello che quella setta o quel gruppo fa ed è. Le delusioni cocenti che ne ricevono li spingeranno allora verso una solitudine ancor più dura, verso ideali personali ancor più esclusivi, fino a un’ulteriore, inevitabile ricaduta in qualche analogo errore, e così via ciclicamente.

Il bambino Hahashiyah.

 Se i film firmati da Walt Disney (cioè quelli anteriori al 1966) possono tornare utili a tutti i bambini, per gli Hahashiyah sono assolutamente indispensabili. Da Biancaneve a La bella addormentata, a La spada nella roccia: sono tutte storie di iniziazione, preziosissime per questi futuri occultisti. E non importa se non saprete rispondere a tutte le domande che vi faranno dopo averli visti, o se dopo Fantasia non saprete proprio che dire: i bambini Hahashiyah se li terranno a mente, e se li chiariranno da sé, con il tempo, intuendo, scoprendo. Gioveranno molto anche i film fiabeschi di Ron Howard, e Dragonheart, e Tolkien e via dicendo, oltre naturalmente a tutta la letteratura magicheggiante che riusciranno a sopportare. È necessario che nella loro Torre si formi presto una cine-biblioteca: che sappiano cioè di non essere del tutto avulsi dalla mentalità attuale, con il loro innato interesse per i misteri. Per il resto, non pretendete troppo da loro: l’ottanta per cento del mondo così com’è li annoia, non rischiate di annoiarli anche voi.

Claviculae Angelorum:

 La rivelazione di misteri e di poteri occulti. L’amore per la contemplazione. La scoperta di una missione. Fortuna nelle imprese disinteressate. Protezione contro il disprezzo. Guarire i malati.

Qualità di Hahasiah e ostacoli dall’energia “avversaria”.

Le qualità che sviluppa Hahasiah sono saggezza e amore per il prossimo; concede comprensione del principio di causa e d’effetto che permette di guarire, amore radioso, tolleranza e fiducia. Dispensa animo nobile ed elevato verso le cose dello Spirito; vocazione per la medicina e la ricerca scientifica. Dona protezione dai bugiardi. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Gilarion e rappresenta il materialismo eccessivo. Causa confusione, mancanza di discernimento, presunzione, certezze eccessive o dubbio, disillusione, mancanza di fiducia, gelosia, rancori. Ispira i ciarlatani e tutti coloro che ingannano il prossimo promettendo cose assurde e incredibili.

Meditazione associata al Nome: nessuna colpa.

La meditazione associata a Hahasiah si chiama “nessuna colpa”. Secondo la kabbalah non esistono fatti senza senso, dunque nemmeno vincitori o “vittime” a causa dei capricci di un fato insensato. E’ per noi incomprensibile l’esistenza del male, ma secondo la visione di insieme che non riusciamo ad avere anche ogni male che si verifica è un atto necessario, in un’infinita rete di correlazioni di cui vediamo solo un’infinitesima parte, e rappresenta un’esperienza volta a condurre fuori da un labirinto. Anche ogni nostro atto contro gli altri, al di là delle nostre intenzioni, deve avvenire e ha uno scopo. Tuttavia deve essere nostro intendimento e capacità non causare mai dolore a nessuno. Se ci è capitato, e ne siamo pentiti, la sofferenza che proviamo per averlo fatto deve liberarci e non imprigionarci, dobbiamo divenire coscienti che il nostro pentimento ci restituisce la condizione spirituale precedente a ogni trasgressione.

Meditazione.

Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione:

per l’energia di questo Nome chiedo alla Luce di scaricare tutti i miei difetti. La forza chiamata “pentimento” emenda i miei pesi spirituali e indebolisce nella mia natura ogni lato oscuro.

Esortazione angelica.

Hahasiah esorta a trovare in sé stessi la bontà e la fiducia per metterla in pratica, senza mai arrendersi a sconforto e recriminazioni. Invita a cercare sempre connessione con la sua energia per attingere le grandissime risorse che sempre esistono in noi, anche quando ci appaiono esaurite.

Giorni e orari di Hahasiah.

Se sei nato nei suoi giorni di reggenza Hahasiah è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 27 febbraio, 11 maggio, 25 luglio, 7 ottobre, 18 dicembre; ed egli governa ogni giorno, come “angelo della missione”, le energie dalle h.16.40 alle 17.00. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l’orario migliore in cui tutti lo possono invocare. La preghiera tradizionale rivolta a Hahasiah è il 31° versetto del Salmo 103: Sit gloria Domini in saeculum; laetetur Dominus in operibus suis (La gloria del Signore sia per sempre; gioisca il Signore nelle sue opere.

SIMBOLOGIA OCCULTA.

Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.

A ciascuna delle 22 lettere ebraiche sono associati dei numeri, dunque ad esse possono venire associate anche corrispondenze con le relative simbologie dei 22 Arcani maggiori dei Tarocchi; questo può essere interessante per chi desidera interrogare questi simboli sul piano dell’introspezione psicologica. In questo caso la radice he-heth-shin risponde alla configurazione: “il Papa – la Giustizia – il Mondo”, da cui la riflessione interiore suggerita dalle domande rivolte da questi arcani. Chiede il Papa (il mediatore, il ponte, l’ideale): che cosa comunico agli altri e con quali mezzi? Ho un ideale? chiede la Giustizia (l’equilibrio, la perfezione): cosa devo riequilibrare o armonizzare? Da quale cosa inutile devo liberarmi? Qual è la mia idea di perfezione? Come mi comporto rispetto alla maternità?  Chiede il Mondo (la realizzazione totale): qual è il risultato delle mie azioni? Dove mi condurrà tutto questo? Qual è la mia realizzazione? Cosa mi sta imprigionando in questo momento? Quali sono Le mie realizzazioni mentali, il mio genio? Quali sono le mie realizzazioni emozionali, la mia santità? Qual’è la mia realizzazione creativa, il mio eroismo? Qual è la mia realizzazione materiale, in cosa primeggio?

CORI DI APPARTENENZA E ARCANGELI DI INFLUENZA.

Rimando infine al Coro e alle energie arcangeliche che dispensano influenze ai nati fra il 3 e il 7 dicembre. L’angelo Hahasiah appartiene al Coro degli Angeli Principati guidato dall’Arcangelo Haniel. Il segno del sagittario cade sotto il gioioso Arcangelo Hesediel, mentre la decade che qui interessa (3-12 dicembre) è sotto l’Arcangelo Raffaele. Con amorevolezza vi rinvio a tali entità angeliche: i nati in questi giorni sono invitati a consultarle, insieme a quella del loro Angelo Custode Hahasiah. Infatti anche le energie di questi Arcangeli sono al loro fianco. Infine bisogna ricordare che una specifica influenza sulla persona è esercitata anche dall’Angelo che aveva reggenza nell’orario della nascita.

 

Imamiah, angelo 52, dei nati dall’8 al 12 dicembre.

Imamiah, o ‘Imamiyah, è il 52esimo Soffio e il quarto raggio angelico nel Coro venusiano degli Angeli Principati, nel quale amministra le energie di Marte. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dal 15° al 20° del Sagittario ed è l’Angelo Custode dei nati dall’8 al 12 dicembre. I sei Angeli Custodi del Sagittario sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati persone leali, gentili, energiche e indipendenti, capaci di gestire il potere ma anche di essere generosi con i deboli e gli oppressi; orgogliosi e impulsivi, questi nati sono anche pronti a dimenticare i torti. Secondo Sibaldi i 6 angeli del Sagittario hanno anche una caratteristica specifica: sono accomunati da qualità molto simili tra loro, il che non si riscontra nelle energie angeliche di nessun altro segno zodiacale: è semmai molto raro che due Angeli dello stesso segno si somiglino. Questi Principati, invece, sembrano essere una sorta di variazione sullo stesso tema esistenziale, che Sibaldi chiama “il Castello”: quello che sembra rappresentato, fra 2 torri, nel pittogramma delle 3 lettere-radice del Nome di Vehuel (il primo dei Principati). E aggiunge che i Principati, appunto, sono gli Angeli della Bellezza: Dante, nel pieno rispetto della Qabbalah, li colloca nel terzo cielo del Paradiso, quello di Venere. La bellezza è quel qualcosa che si coglie nelle forme, ma che supera le forme stesse: e tutti i loro protetti sembrano appunto porsi, sul piano esistenziale, come “in alto” rispetto agli altri, in quanto cercano in sé stessi una forma di identità più alta, più grande del semplice «io». Se per moltissimi che si accontentano di appartenere a un qualche «noi» (nazione, squadra, azienda, famiglia, religione, razza) l’«io» non è ancora nemmeno considerato, e per molti altri ancora l’«io» è un punto di arrivo (già riuscire a essere sé stessi è una grande conquista), per i nati sotto questi angeli l’io è addirittura una porta (la Hé!), l’inizio di una via, oltre la quale sono impazienti di avventurarsi. Perciò il «noi» può annoiarli e opprimerli, così come fermarsi alla semplice accettazione e soddisfazione dell’«io». 

Il nome di Imamiah significa “Dio eleva al di sopra di tutto”.

  

Il dono dispensato da Imamiah è l’AMNISTIA, o l’ESPIAZIONE.

 Imamiah dispone del potere di armonizzare le energie di Marte (che rappresenta la forza e il lavoro), con quelle di Venere (che rappresenta l’amore, la dolcezza, la facilità). Se entrano in sintonia con lui, egli dona ai suoi protetti temperamento forte e spirito di sopportazione nelle avversità; guida a trovare la propria via tutti coloro che in buona fede cercano la verità. Dice Haziel che questo angelo accorda il piacere di ciò che è primordiale, l’anelito a quanto è divino; il desiderio di abbellire il mondo fisico e quello invisibile. Inoltre opera precipuamente sulle forme fisiche donando bellezza o fascino, come doti a garanzia di grazia e di successo. Dona la capacità di attingere la propria liberazione e compiere senza sforzo qualunque tipo di lavoro, successo nella vita sociale e nel soccorrere prigionieri o persone in situazioni difficili: Imamiah fa dei suoi protetti persone apportatrici di concordia, bellezza e armonia, capaci di dare alla Società tangibili attestazioni d’amore. L’energia dovuta a questo Angelo produce anche l’amore e la stima di sé, da cui discende la facoltà di essere stimati dagli altri.

Sappiamo che secondo la Kabbalah tre versetti dell’Esodo (ciascuno composto da 72 lettere), celano il codice dei 72 Nomi di Dio; e precisamente i versetti 19, 20 e 21 del capitolo 14. Riguardo alle origini delle lettere nel trigramma-radice di questo Nome, ayin-mem-mem, la Ayin (occhio) proviene da: “Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò indietro” (Esodo, 14, 19).  La prima Mem (acqua) viene da (Esodo, 14, 20): “venendosi a trovare fra l’accampamento degli Egiziani e quello di Israele“; mentre la seconda Mem proviene da (Esodo 14, 21): “e l’Eterno, durante tutta la notte, ritirò (prosciugò) il mare con forte vento da Oriente“. Il rebus formato da queste 3 lettere, in relazione alla loro origine, dà l’immagine della pioggia che si avvicina; suggerisce inoltre che questo angelo aiuti a leggere nel più profondo dell’essere e a contemplare la potenza divina che si esprime nella natura (interpr. Muller-Baudat).

Imamiah secondo Sibaldi.

‘Imamiyah ayin-mem-mem

«Le apparenze limitano l’orizzonte»

 Il compito degli ‘Imamiyah è uno dei più difficili e scomodi dell’intero panorama angelologico. È l’Angelo dei prigionieri (quella doppia mem, nel Nome, è anche l’immagine di una doppia cinta di mura), degli schiavi, di chi ha attorno a sé un nemico soverchiante: e a capo del nemico, sulla porta del carcere, sta l’inganno, l’ayin, l’apparenza che nasconde solamente il nulla. Gli ‘Imamiyah devono imparare e insegnare ad accorgersi di quanto la vita dei loro simili venga a trovarsi spesso in una situazione del genere. La gente comune non lo vede, o se anche lo vede non vuol farci caso. Così, per esempio, né l’Occidente né gran parte della popolazione sovietica voleva accorgersi di quanto orribili fossero certi aspetti dello stalinismo e del poststalinismo, quando un fervido ‘Imamiyah come Sol=enitsyn metteva a rischio la vita per denunciarli. Una lunga educazione all’accorgersi delle proprie schiavitù psicologiche e religiose sono anche i libri dello ‘Imamiyah Osho, che venne avvelenato – si dice – per aver scardinato troppe porte di quelle prigioni. Agli ‘Imamiyah, dicevo, tocca in sorte innanzitutto imparare in che cosa consista l’oppressione: e questa è naturalmente, per la maggior parte di loro, la parte più dura. Pochi hanno la fortuna o l’accortezza di cominciare presto a interessarsi di ossessioni, fissazioni, fobie, sensi di colpa e vittimismo (dei più frequenti carcerieri, cioè, dell’uomo contemporaneo) e di armarsi preventivamente contro di essi. In genere, lo ‘Imamiyah si trova a sperimentare tutto questo di persona: e per anni è costretto, per la sua stessa sopravvivenza, a fare i conti con pesanti fantasmi della propria mente; o magari con gli incubi e le angosce di persone a lui vicine; oppure a subire situazioni di grande solitudine, di incomprensione, di marginalità. Scopre in tal modo che cosa significhi ritrovare sé stessi, lottare, difendersi. Accumula ed esercita in questa scoperta un’immensa energia e finalmente – se tutto va bene – può cominciare a fare da guida ad altri. A volte è già piuttosto tardi, per lui, e certi ‘Imamiyah somigliano all’abate Faria ne Il conte di Montecristo: la poetessa Emily Dickinson, per esempio, che mai poté uscire dal suo villaggio natale, e le cui opere vennero pubblicate solamente postume. Altre volte il duro periodo di apprendistato li segna profondamente, e li rende individui cupi, aggressivi, impulsivi, distruttivi spesso, con anche la tendenza a imporre ad altri rapporti di dipendenza – come per un triste risarcimento, o per una brutta piega rimasta dai tempi delle loro personali schiavitù. Pressoché tutti, infine, appaiono emotivamente chiusi, sfuggenti, e guardano con un’ostilità sospettosa e sarcastica chiunque nel loro ambiente abbia pregi e prestigio – come se in qualche modo rubasse la scena a loro, che dopo così lunga maturazione interiore avrebbero tante cose da dire. Ne hanno, infatti. Qualunque sia la loro professione, li anima un preciso desiderio di opporsi, più o meno direttamente, a ogni forma di limitazione o anche autolimitazione della dignità umana: cercano e spesso trovano oppressori da smascherare, situazioni ingiuste alle quali ribellarsi. Sognano onestamente la riconquista di un Paradiso perduto, per usare il titolo dell’opera più famosa di John Milton, un ‘Imamiyah anche lui. Come terapeuti sono abilissimi, come sindacalisti e attivisti politici sono spesso esemplari, e in qualsiasi apparato di controllo o nelle forze dell’ordine possono rivelarsi preziosi. Tutto dipende da quanto siano riusciti a liberare se stessi dai taglienti residui del loro istruttivo passato. Il più frequente dei loro rischi psicologici, quando cominciano a darsi da fare per gli altri, è l’idealizzazione eroica della propria figura: sentirsi troppo investiti di una missione non fa bene, agli ‘Imamiyah; il loro senso della realtà tende ad appannarsi, e mentre danno la caccia o aggrediscono un nemico, un oppressore (magari solamente presunto tale) o insegnano ad altri a liberarsi da plagi e prigionie, non si rendono conto di venir presi loro stessi per individui opprimenti; fu così per un ‘Imamiyah dei più cupi e sventurati, il generale Custer, nella cui mente, forse, non balenò mai l’idea che fosse lui il nemico degli indiani, ben più di quanto gli indiani fossero nemici suoi. È necessario che si abituino a sorvegliarsi; che facciano il meno possibile di testa loro e trovino una causa, una Chiesa, un partito per il quale agire; e possibilmente che, tra tutte le armi per lottare contro le servitù, imparino a preferire l’ironia – che tra l’altro ha il vantaggio di potersi applicare, non appena sia necessario, anche contro chi la usa. Tutte queste cautele sono indispensabili per gli ‘Imamiyah, anche perché permettono loro di non eccedere nel senso di responsabilità personale: se agiscono in totale autonomia e si prendono troppo sul serio, tendono infatti a soverchiarsi di impegni e soprattutto di tensioni, fino a fiaccare la loro fibra fisica e nervosa. Quanto agli ‘Imamiyah che non si sentono toccati da impulsi altruistici, il loro destino è tra i più cupi. Non solo restano bloccati nella prima fase della loro crescita interiore – nella scoperta dell’oppressione, appunto, e passano così da una prigionia all’altra, nei loro rapporti umani, e da una fase ossessiva all’ altra, nei loro rapporti con sé stessi – ma cresce e ribolle in loro un’astiosità tutta speciale, rancorosa, invidiosa. Sviluppano la tendenza a trovarsi dei capi, per poi rapidamente tradirli; a incensare un amico e conquistarsene la fiducia, per poi calunniarlo. E non vi è legame, nemmeno famigliare, che ben presto non appaia loro come una trappola da cui liberarsi. È, questa, l’ombra brutta del compito che avrebbero dovuto svolgere. È una compulsione, un altro carcere dunque, e vi è poco da fare, a quel punto: se non se ne liberano da soli, non ne verranno fuori mai.

Il bambino ‘Imamiyah.

 Teneri e intelligenti, generosi ed energici, assetati di tutte le migliori qualità di cui abbiano notizia: i piccoli ‘Imamiyah sono tutti così, e non per nulla sognano spesso di fare i missionari, tanta è la vastità che avvertono dentro di sé. Così sia! Non interferite: non sottovalutate mai queste loro aspirazioni, non cercate di ricondurli a ciò che a voi sembra più ragionevole. Avrebbero l’impressione che quella loro vastità interiore sia un difetto, imparerebbero a provarne quel particolare timore che si chiama cinismo, e in breve tempo il loro cuore si indurirebbe anche più del vostro; in compenso, invece di sogni di generosità e abnegazione intercontinentale, cominceranno a covare ansia, senso di persecuzione e segreta invidia per chi sogna ancora. Non commettete un errore gravido di tante conseguenze! Scegliete la via più facile: da voi, i piccoli ‘Imamiyah hanno bisogno soltanto di un sorriso d’ approvazione. Se proprio non vi riesce, chiedete aiuto a loro e vi insegneranno: sarete il loro primo intervento di beneficenza, i loro primi pazienti, e ne trarrete più vantaggio di quanto possiate ora immaginare.

Claviculae Angelorum:

 Ritrovare il giusto cammino e se stessi. La liberazione dalle servitù, dalla prigionia e dai nemici. La liberazione dai cattivi compagni. La liberazione dalle proprie inclinazioni malsane. Fortuna nei luoghi lontani.

Qualità di Imamiah e ostacoli dall’energia “avversaria”.

Le qualità che sviluppa Imamiah sono la propensione a riconoscere i propri errori, il saperli correggere e il riparare i danni causati. Dunque capacità di perdono, di rappacificarsi con i propri avversari, di soccorrere gli altri nelle difficoltà. Rigore, laboriosità, fede e senso del servizio, pazienza, coraggio, umiltà, semplicità. Tramite l’Invocazione è possibile ottenere da Imamiah, oltre a tutti i suoi i doni, liberazione dei prigionieri, viaggi utili e dilettevoli; inoltre la protezione da persone ostili, purché si sia nel giusto, oppure sinceramente pentiti per errori che hanno condotto all’ostilità. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Bacaron e rappresenta il desiderio sterile di rivalsa. Ispira orgoglio e animosità; causa limitazioni alla libertà, situazioni bloccate e senso di oppressione. Le distorsioni in cui, a causa sua, possono incorrere le personalità Imamiah sono instabilità e iper reattività emotiva, amore competitivo, relazioni troppo passionali e deviazioni sessuali, rigidità orgogliosa, intransigenza, severità eccessiva e conflittualità.

 Meditazione associata al Nome: passione.

La meditazione associata a Imamiah si chiama “passione”: secondo la kabbalah infatti questo nome accende l’ardore. Per accedere davvero al potere della preghiera, abbiamo bisogno innanzitutto di un fuoco che ardendo nel cuore alimenti il fuoco dell’anima; come quello che alimentava l’Himamiah Emily Dickinson. Queste lettere (ayin-mem-mem) danno il potere di connettersi spiritualmente in modo sincero e secondo la giusta coscienza, sapendo guardare oltre le apparenze che limitano l’orizzonte.

Meditazione.

Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione:

per l’energia di questo Nome si alimentano le fiamme della passione nel mio cuore e nella mia anima. Il potere di queste lettere mi trasmette la forza della sincerità, devozione e corretta coscienza nelle mie preghiere, meditazioni e connessioni spirituali.

 Esortazione angelica.

Imamiah esorta a osservare sé stessi in profondità, cercando di comprendere i propri cambiamenti e dunque il vero significato che hanno le esperienze cui andiamo incontro e le conseguenze che determinano nella nostra vita. Guardando oltre le apparenze invita a prendere coscienza dei propri talenti e con fiducia a metterli al servizio del mondo e degli altri, senza eccedere nelle certezze, sempre attenti a mantenersi indulgenti ed aperti.

Giorni e orari di Imamiah.

Se sei nato nei suoi giorni di reggenza Imamiah è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 28 febbraio, 12 maggio, 26 luglio, 8 ottobre, 19 dicembre; ed egli governa ogni giorno, come “angelo della missione”, le energie dalle h.17.00 alle 17.20. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l’orario migliore in cui tutti lo possono invocare. La preghiera tradizionale rivolta a Imamiah è il 18° versetto del Salmo 7: Confitebor Domino secundum iustitiam eius et psallam nomini Domini, Altissimi (confiderò nel Signore secondo la sua giustizia e canterò il nome di Dio, l’Altissimo).

SIMBOLOGIA OCCULTA.

Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.

A ciascuna delle 22 lettere ebraiche sono associati dei numeri, dunque ad esse possono venire associate anche corrispondenze con le relative simbologie dei 22 Arcani maggiori dei Tarocchi; questo può essere interessante per chi desidera interrogare questi simboli sul piano dell’introspezione psicologica. In questo caso la radice ayin-mem-mem risponde alla configurazione: “la Torre – la Morte – la Morte“, da cui la riflessione interiore suggerita dalle domande rivolte da questi arcani. Chiede La Torre o Casa di Dio: (l’apertura, l’emergere di ciò che stava chiuso): con chi o con che cosa devo rompere? Da quale prigione mi sto liberando? Quali energie si sbloccano dentro di me? Quale gioia mi attende? Chiede la Morte (trasformazione profonda, rivoluzione, chiusura di un ciclo), per ben due volte: qual’è la mia ira? Cosa deve morire in me? Cosa devo lasciar andare?

CORI DI APPARTENENZA E ARCANGELI DI INFLUENZA.

Rimando infine al Coro e alle energie arcangeliche che dispensano influenze ai nati fra l’8 e il 12 dicembre. L’angelo Imamiah appartiene al Coro degli Angeli Principati guidato dall’Arcangelo Haniel. Il segno del sagittario cade sotto il gioioso Arcangelo Hesediel, mentre la decade che qui interessa (3-12 dicembre) è sotto l’Arcangelo guaritore Raffaele. Con amorevolezza vi rinvio a tali entità angeliche: i nati in questi giorni sono invitati a consultarle, insieme a quella del loro Angelo Custode Imamiah. Infatti anche le energie di questi Arcangeli sono al loro fianco. Infine bisogna ricordare che una specifica influenza sulla persona è esercitata anche dall’Angelo che aveva reggenza nell’orario della nascita.

 

Nanael, angelo 53, dei nati dal 13 al 16 dicembre.

 Nanael, o Nanel, o Ninael, o Nana’e’el, è il 53esimo Soffio e il quinto raggio angelico nel Coro venusiano degli Angeli Principati, nel quale amministra le energie del Sole. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dal 20° al 25 ° del Sagittario ed è l’Angelo Custode dei nati dal 13 al 16 dicembre. I sei Angeli Custodi del Sagittario sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati persone leali, gentili, energiche e indipendenti, capaci di gestire il potere ma anche di essere generosi con i deboli gli oppressi; orgogliosi e impulsivi, questi nati sono anche pronti a dimenticare i torti. Secondo Sibaldi i 6 angeli del Sagittario hanno anche una caratteristica specifica: sono accomunati da qualità molto simili tra loro, il che non si riscontra nelle energie angeliche di nessun altro segno zodiacale: è semmai molto raro che due Angeli dello stesso segno si somiglino. Questi 6 Principati, invece, sembrano essere una sorta di variazione sullo stesso tema esistenziale, che Sibaldi chiama “il Castello”: quello che sembra rappresentato, fra 2 torri, nel pittogramma delle 3 lettere-radice del Nome di Vehuel  (il primo dei Principati). E aggiunge che i Principati, appunto, sono gli Angeli della Bellezza: Dante, nel pieno rispetto della Qabbalah, li colloca nel terzo cielo del Paradiso, quello di Venere. La bellezza è quel qualcosa che si coglie nelle forme, ma che supera le forme stesse: e tutti i loro protetti sembrano appunto porsi, sul piano esistenziale, come “in alto” rispetto agli altri, in quanto cercano in se stessi una forma di identità più alta, più grande del semplice «io». Se per moltissimi che si accontentano di appartenere a un qualche «noi» (nazione, squadra, azienda, famiglia, religione, razza) l’«io» non è ancora nemmeno considerato, e per molti altri ancora l’«io» è un punto di arrivo (già riuscire a essere se stessi è una grande conquista), per i nati sotto questi angeli l’io è addirittura una porta, l’inizio di una via, oltre la quale sono impazienti di avventurarsi. Perciò il «noi» può annoiarli e opprimerli, così come fermarsi alla semplice accettazione e soddisfazione dell’«io». 

Il nome di Nanael significa “Dio di conoscenza, che ridimensiona gli orgogliosi”.

 

Il dono dispensato da Nanael è la COMUNIONE, o la COMUNICAZIONE SPIRITUALE.

Nanael, rappresentando l’aspetto solare delle energie venusiane del Coro dei Principati, è l’Angelo più splendente e luminoso (insieme a Vehuel). Secondo la tradizione egli permette di vedere Dio e di salire i 22 gradini della scala di Giacobbe (in effetti è considerato, tra l’altro, anche l’angelo che favorisce lo studio delle scienze occulte), e concede i poteri per trasferire sulla Terra l’ordine e la perfezione celesti. Conoscere la Verità che sta in alto darà al suo protetto la possibilità di esprimere in Basso ciò che è giusto, orientando l’individuo verso la magistratura e dando il talento e la vocazione per le professioni legate alla giustizia. Ma le persone ispirate da questo angelo non applicheranno la Legge con la severità dell’Antico Taglione, bensì secondo la regola della giustizia nell’amore portata dal Cristo. Dice Haziel che l’energia dispensata da Nanael intensifica l’amore per le regole del Disegno Divino; il risultato di tale amore, logico e naturale, risolvendosi in una condotta in armonia con tali regole, verrà a costituire la base di un comportamento religioso – spirituale che segna il fiorire di qualsivoglia persona animata da spirito religioso, nonché da sentimenti nobili ed elevati. La persona in questione avrà una spiccata inclinazione per l’ordine, l’ordine vero, quello che emana da regole eterne. In sostanza, chi è soggetto all’influsso di quest’Angelo sarà ligio ai principi di una morale di altissimo livello. Dal canto suo la società ricambierà dimostrando grande amore a queste persone: i Nanael sono festeggiati, celebrati, adorati, fatti oggetto di premure da tantissime persone; anche se non tutti loro sono necessariamente degli “assi”, essi beneficeranno di un affetto sincero e prezioso di persone che riuniscono in sè le peculiarità dell’angelo Imamiah (che precede Nanael) e dell’Arcangelo Haniel: ossia individui affabili, ricchi, felici, di buon carattere e bell’aspetto. Non per niente Haniel e i suoi Principati rappresentano la fase finale delle forze attive nei Turbini della colonna di destra dell’Albero della Vita, i cui valori si situano nella sfera energetica di Venere.

Sappiamo che secondo la Kabbalah tre versetti dell’Esodo (ciascuno composto da 72 lettere), celano il codice dei 72 Nomi di Dio; e precisamente i versetti 19, 20 e 21 del capitolo 14. Riguardo alle origini delle lettere nel trigramma-radice di questo Nome, nun-nun-aleph, la prima Nun (pesce) proviene da: “Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò indietro” (Esodo, 14, 19).  La seconda Nun viene da (Esodo, 14, 20): “venendosi a trovare fra l’accampamento degli Egiziani e quello di Israele“; mentre l’Aleph proviene da (Esodo 14, 21): “e l’Eterno, durante tutta la notte, ritirò (prosciugò) il mare con forte vento da Oriente“. Il rebus formato da queste 3 lettere, in relazione alla loro origine, dà l’immagine dell’umiltà e suggerisce che questo angelo aiuti nella meditazione (interpr. Muller-Baudat).

Nanael secondo Sibaldi.

Nana’e’el nun-nun-aleph

«Soltanto nelle grandi opere il mio spirito agisce»

La Torre di ghisa, assurdamente bella, che il Nana’e’el Alexandre Gustave Eiffel costruì a Parigi nel 1889, deve servire da esempio ai protetti di quest’Angelo dei Principati. Fu tra i monumenti più fortunati al mondo (seconda solo, per popolarità, alla Statua della Libertà, a cui pure Eiffel dette il suo contributo), e divenne l’emblema di una capitale, di uno stile, dei tempi moderni d’allora: la si amò tanto più dolcemente, quanto più ci si accorse della sua assoluta inutilità e mancanza di significato, della sua boria – che ancor oggi suscita un irresistibile sorriso – e di tutto il vuoto che contiene. Morale della Torre: non temano, i Nana’e’el, quello che ogni altro dovrebbe temere, e cioè di apparire palloni gonfiati, giacché nessuno saprebbe farlo meglio e più a proposito di loro. Il loro successo (e sono nati per il successo) dipende esclusivamente dalla loro capacità di pensare in grande, non importa in quale campo: conoscono certi segreti della statica e della dinamica, per i quali quanto più voluminoso è ciò che hanno in mente, tanto più risulterà leggero e agile – e si dà il caso, infatti, che la pressione esercitata a terra dalla Torre Eiffel equivalga a quella di un uomo seduto su una sedia. Viceversa, quanto più modesta sarà la loro immaginazione, tanto più avvertiranno il peso della materia: e non vi è nulla che opprima e schiacci talmente i Nana’e’el come le piccole cose quotidiane, e nulla in cui possano star certi di fallire, come nel progettare affari di poco conto. Ciò rende, di solito, molto difficili i loro inizi, quando ancora nessuno si fida di loro, e i capitali e gli intenti delle loro iniziative sono necessariamente modesti: corrono il rischio di non salpare mai, tanto li deprime il piccolo cabotaggio. È bene che saltino senz’altro le prime fasi, che azzardino spacconate, scavalcando apprendistati e gerarchie e puntando direttamente al massimo. In quale campo non importa, purché abbia in qualche modo a che fare con l’architettura, con la costruzione: di edifici o di reti di comunicazione, di forme d’arte o di strategie commerciali, di oggetti d’uso o di programmi di formazione. Quanto ai finanziamenti, li troveranno senz’altro: vi è infatti una particolare ispirazione che guida sempre i Nana’e’el con grandi idee, e fa sì che i loro progetti siano perfettamente in consonanza con ciò che la maggior parte dei loro connazionali predilige o è pronta ad apprezzare in quel preciso momento. Non è solo fortuna. È che fin da adolescenti i Nana’e’el sanno vivere in armonia con la maggioranza, condividendone del tutto naturalmente il modo di sentire. In un certo senso, possiamo dire che pensino soltanto in grande in ogni aspetto della loro esistenza. Se, per esempio, hanno interessi spirituali, si riconosceranno fiduciosamente nella religione predominante nel Paese in cui risiedono; se hanno passioni politiche, aderiranno senz’altro al partito di governo. I loro obiettivi personali si calibreranno sempre sui livelli di prestigio che, nel loro tempo, sono considerati desiderabili; e anche nella sfera privata, tutto ciò che potrebbe piacere a minoranze, sia passatiste sia troppo progressiste, incontrerà il loro deciso sfavore. Non possono fare altrimenti. Il Nana’e’el Gustave Flaubert raffigurò limpidamente, in Madame Bovary, il tragico dissidio tra la protagonista e i valori, i doveri che nel suo ambiente la maggioranza, appunto, riteneva necessari: Emma Bovary non amava il marito, cercava qualcuno, qualcosa che le permettesse di sottrarsi alla vita in provincia, ma riuscì soltanto a correre verso la rovina, proprio perché, in animi nanaeliani come il suo, nulla, nemmeno il disamore, è più potente del conformismo. Non tentino la fuga, dunque, questi colossi: si radichino bene, e prospereranno. Oltre che nel corpo sociale, è indispensabile che imparino a trovarsi benissimo anche nel loro corpo fisico: vale anche qui quello stesso magnifico rapporto nanaeliano tra grandiosità ed efficacia. Quanto maggiore, infatti, è l’importanza che sanno attribuire alle proprie doti fisiche, tanto più sicuramente le avranno sempre al proprio servizio: si pensi non soltanto alla voce sapiente del Nana’e’el Frank Sinatra, ma anche all’affascinante sicurezza che sapeva emanare da ogni tratto del suo corpo, la cui gracilità non sembrò mai imbarazzarlo minimamente. E viceversa, quando il corpo appare loro un fatto trascurabile, perché tentano di trascenderlo per le esigenze dell’anima, ne vengono regolarmente traditi: celeberrimo il caso del Nana’e’el Beethoven, che divenne sordo poco dopo i trent’anni, come se le sue fibre avessero voluto punirlo per lo slancio eccessivo, quasi mistico, della sua spiritualità. Davvero la materia è la chiave di volta dei destini nanaeliani. Lo scrittore inglese Arthur C. Clarke (nato il 16) lo aveva intuito, certamente, quando in 2001: Odissea nello spazio narrò il duello tra l’astronauta e il suo computer HAL: anche lì, l’astronauta simboleggiava la mente, l’anima che tenta di opporsi alla materia, e riesce a disattivarla, sì, ma solo per perdersi poi nell’infinito. E non volle fare qualcosa di simile anche il Nana’e’el Nerone? Il suo ordine di incendiare Roma fu un’altra rivolta contro la materia; e poi si perse nella follia e nella catastrofe. Serva anche questo da monito: nessuna fuga, piedi saldamente piantati a terra, petto in fuori e geniali occhiate verso nuove e vastissime imprese costruttive: sono gli ingredienti essenziali del benessere dei Nana’e’el, e certamente anche del benessere di chi li circonda.

Il bambino Nana’e’el.

Insistete con lo sport. Può darsi che all’inizio non ne vorranno sapere, che si lagneranno dei compagni, dell’istruttore, delle scarpette scomode. Convinceteli con qualche semplice ricatto, o con un’accorta propaganda, o meglio ancora spiegando loro la verità: che devono imparare a costruire la loro personalità e il loro successo, e che non c’è costruzione che non richieda fatica, impegno e un gran numero di tentativi falliti, prima di riuscire davvero. Si sbaglia e ci si corregge, si riesce a far benino e ci si migliora. Se non arrivano a capirlo da subito con le loro membra, è possibile che non ci arrivino mai. Viceversa, se arrivano a ottenere già da bambini una qualche vittoria (non importa quanto minuscola: purché ne gioiscano, e voi ne gioiate), avranno già cominciato a indebolire il principale ostacolo dei Nana’e’el, sia piccoli che grandi: il rischio che a forza di attendere, immaginare, bramare un trionfo, si sviluppi in loro l’esatto contrario, la paura cioè di mettersi alla prova – con tutto il suo lungo strascico di perfezionismo, senso d’inferiorità, crisette di panico, apatia, pessimismo e via dicendo. D’altra parte, le loro resistenze all’attività sportiva non durano mai più di tanto: sono discretamente vanitosi e, non appena cominceranno a sentirsi più agili e forti, e più belli, ci prenderanno gusto.

Claviculae Angelorum:

 Fortuna e ispirazione in ogni grande impresa. Sapersi conquistare alleati e grandi finanziamenti. Dare forma concreta alle idee nuove e alle esigenze spirituali. Saper avere cura del proprio corpo. Saper comprendere la propria epoca e le sorti della propria civiltà. Amore per la contemplazione.

Qualità di Nanael e ostacoli dall’energia “avversaria”.

Le qualità che sviluppa Nanael sono amore per la verità e per la vita, amore di DIO e delle sue creazioni, pace interiore, servizio disinteressato all’umanità, comprensione delle scienze astratte e dell’esoterismo; ma anche senso pratico e progettualità. Nanael dona inoltre ispirazione ai costruttori, agli avvocati e ai magistrati, concede di apprezzare il silenzio e di trovare alloggio in luoghi al riparo dal clamore. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Abadir e rappresenta l’ingiustizia e il disprezzo della conoscenza. Ispira l’ignoranza e l’avversione nei confronti della cultura; causa narcisismo, confusione, ricerca dello stordimento, ignoranza dell’altro, separatezza, difficoltà di comunicazione.

Meditazione associata al Nome: niente programmi.

La meditazione associata a Nanael si chiama “niente programmi”: riferendosi con ciò a qualunque genere di aspettativa possiamo crearci riguardo a quello che possiamo ricevere dagli altri. Secondo il detto “non sappia la destra cosa fa la sinistra” ogni nostro gesto deve essere il più possibile improntato a una condivisione che viene attuata senza secondi fini, senza aspettarsi per ciò nemmeno riconoscimenti morali: ma solo perché siamo davvero consapevoli che siamo “uno”, che nel bilancio finale il “tuo” e il “mio” sono pure illusioni. La meditazione su queste lettere (nun-nun-aleph) è volta a far crescere in noi la gioia del dare, in modo totalmente indipendente da quello che possiamo riceverne “in cambio”.

Meditazione.

Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione:

per l’energia di questo Nome ogni forma di egoismo e ogni genere di secondo fine lasciano il posto a puri atti di amicizia, condivisione e amore incondizionato. Nella mia vita entrano amici veri e sinceri, così come io saprò esserlo per gli altri.

Esortazione angelica.

Nanael esorta all’ottimismo, alla generosità e all’azione; a saper guardare verso le vere necessità della propria anima che sono perfettamente allineate con le necessità del mondo, volte a prodigarsi per il bene di tutti.

Giorni e orari di Nanael.

Se sei nato nei suoi giorni di reggenza Nanael è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 29 febbraio, 13 maggio, 27 luglio, 9 ottobre, 20 dicembre; ed egli governa ogni giorno, come “angelo della missione”, le energie dalle h.17.20 alle 17.40. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l’orario migliore in cui tutti lo possono invocare. La preghiera tradizionale rivolta a Nanael è il versetto: Cognomi, Domine, quia aequitas iudicia tua, et in veritate humiliasti me (Sal.119,75 – lo so Signore, giusti sono i tuoi giudizi e con ragione mi hai umiliato).

SIMBOLOGIA OCCULTA.

Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.

A ciascuna delle 22 lettere ebraiche sono associati dei numeri, dunque ad esse possono venire associate anche corrispondenze con le relative simbologie dei 22 Arcani maggiori dei Tarocchi; questo può essere interessante per chi desidera interrogare questi simboli sul piano dell’introspezione psicologica. In questo caso la radice nun-nun-aleph risponde alla configurazione: “la Temperanza – la Temperanza – il Bagatto“, da cui la riflessione interiore suggerita dalle domande rivolte da questi arcani. Chiede per ben due volte la Temperanza (protezione, circolazione, guarigione): cosa mi protegge? Quale rapporto devo mantenere con me stesso? Cosa devo curare? chiede il Bagatto (l’inizio e la scelta): cosa sto cominciando a fare? Cosa sto scegliendo? Quali sono le mie potenzialità?

 CORI DI APPARTENENZA E ARCANGELI DI INFLUENZA.

Rimando infine al Coro e alle energie arcangeliche che dispensano influenze ai nati fra il 13 e il 16 dicembre. L’angelo Nanael appartiene al Coro degli Angeli Principati guidato dall’Arcangelo Haniel. Il segno del sagittario e la decade che qui interessa (13-21 dicembre) cadono entrambi sotto il gioioso Arcangelo Hesediel. Con amorevolezza vi rinvio a tali entità angeliche: i nati in questi giorni sono invitati a consultarle, insieme a quella del loro Angelo Custode Nanael. Infatti anche le energie di questi Arcangeli sono al loro fianco. Infine bisogna ricordare che una specifica influenza sulla persona è esercitata anche dall’Angelo che aveva reggenza nell’orario della nascita.

 

Nithael, angelo 54, dei nati dal 17 al 21 dicembre.

 Nithael, o Niyathel, o Niyitha’el, è il 54esimo Soffio e il sesto raggio angelico nel Coro venusiano degli angeli Principati, nel quale amministra le energie di Venere. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dal 25° al 30 ° del Sagittario ed è l’Angelo Custode dei nati dal 17 al 21 dicembre. I sei Angeli Custodi del Sagittario sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati persone leali, gentili, energiche e indipendenti, capaci di gestire il potere ma anche di essere generosi con i deboli gli oppressi; orgogliosi e impulsivi, questi nati sono anche pronti a dimenticare i torti. Nithael è anche l’ultimo fra gli angeli Principati che appartenga al gruppo dei 6 angeli della Costellazione del Sagittario: i quali, secondo Sibaldi, hanno anche la specifica caratteristica di essere accomunati da qualità molto simili tra loro, il che non si riscontra nelle energie angeliche di nessun altro segno zodiacale; è semmai molto raro che due Angeli dello stesso segno si somiglino. Questi 6 Principati, invece, sembrano essere una sorta di variazione sullo stesso tema esistenziale, che Sibaldi chiama “il Castello”: quello che sembra rappresentato, fra 2 torri, nel pittogramma delle 3 lettere-radice del Nome di Vehuel (il primo dei Principati). E aggiunge che i Principati, appunto, sono gli Angeli della Bellezza: Dante, nel pieno rispetto della Qabbalah, li colloca nel terzo cielo del Paradiso, quello di Venere. La bellezza è quel qualcosa che si coglie nelle forme, ma che supera le forme stesse: e tutti i loro protetti sembrano appunto porsi, sul piano esistenziale, come “in alto” rispetto agli altri, in quanto cercano in se stessi una forma di identità più alta, più grande del semplice «io». Se per moltissimi che si accontentano di appartenere a un qualche «noi» (nazione, squadra, azienda, famiglia, religione, razza) l’«io» non è ancora nemmeno considerato, e per molti altri ancora l’«io» è un punto di arrivo (già riuscire a essere se stessi è una grande conquista), per i nati sotto questi angeli l’io è addirittura una porta, l’inizio di una via, oltre la quale sono impazienti di avventurarsi. Perciò il «noi» può annoiarli e opprimerli, così come fermarsi alla semplice accettazione e soddisfazione dell’«io». 

Il nome di Nithael significa “Re dei Cieli”.

  

Il dono dispensato da Nithael è l’EREDITA’.

 Nithael dispensa le energie di Venere nel coro venusiano dei Principati: è dunque un angelo pienamente venusiano, apportatore di Bellezza, arte e sensibilità; domina infatti sui talenti artistici ed estetici, viene considerato l’angelo che aiuta a percepire la nobiltà di cuore, e può anche dispensare una capacità di rigenerazione che aiuta a preservare in sé la giovinezza; dona centratura, capacità di accogliere gli altri, aiuta a conseguire celebrità e prestigio.

Dice Haziel, infatti, che l’angelo Nithael infonde la bellezza, la delicatezza, la grazia, il senso artistico e tutti i poteri emanati dai Turbini di Vita della Colonna di Destra dell’Albero della Vita. I suoi protetti recheranno questi valori al mondo materiale, che grazie a loro li rifletterà in modo splendente, abbagliante, perché questo Angelo accorda ai suoi protetti il comando sulle Forze Spirituali di questa Colonna. E’ il potere di cui disponeva il Re Salomone. (…) assicura l’amicizia delle persone fortunate, che favorisce la prosperità in generale, morale e materiale. Si può dire anche che Nithael sia l’angelo del denaro, inteso come potere sociale e mondano. La persona (…) amerà dunque le cose belle e l’eleganza. Ma purtroppo non tutti comprendono la vera natura di questi doni, che sono solo simbolo e riflesso di beni più splendenti, e vanno utilizzati per portare benessere comune e luce spirituale. Può dunque capitare che molti nati sotto questo Angelo la fraintendano, finendo per attaccarsi così ai beni materiali e alla loro conservazione, ed è in tale congiuntura, prosegue Haziel, che l’Angelo dell’Abisso contrario a Nithael ha la possibilità di esercitare il proprio influsso negativo.

Sappiamo che secondo la Kabbalah tre versetti dell’Esodo (ciascuno composto da 72 lettere), celano il codice dei 72 Nomi di Dio; e precisamente i versetti 19, 20 e 21 del capitolo 14. Riguardo alle origini delle lettere nel trigramma-radice di questo Nome, nun-yod-thaw, la Nun (pesce) proviene da: “Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò indietro” (Esodo, 14, 19).  La Yod (mano) viene da (Esodo, 14, 20): “venendosi a trovare fra l’accampamento degli Egiziani e quello di Israele“; mentre la Thaw (croce) proviene da (Esodo 14, 21): “e l’Eterno, durante tutta la notte, ritirò (prosciugò) il mare con forte vento da Oriente“. Questi segni suggeriscono che questo angelo aiuti la rigenerazione dell’energia vitale (interpr. Muller-Baudat).

Nithael secondo Sibaldi.

Niyitha’el nun-yod-thaw

«Il mio agire è fruttuoso quando guardo oltre ciò che già c’è»

 Fu proprio un 17 dicembre, centoquattro anni fa, che il biplano dei fratelli Wright decollò su una spiaggia brumosa, e per una decina di secondi solcò incredibilmente l’aria. L’era del volo a motore non sarebbe potuta cominciare sotto migliori auspici celesti: Niyitha’el è l’Angelo dei nuovi cammini. I suoi protetti guardano impazienti sia il proprio orizzonte interiore, sia gli orizzonti di cui il loro tempo si è accontentato, e fin dove giunge lo sguardo non trovano nulla che dia senso alla loro vita. È come se ciò che la gente già sa intralciasse la visuale dei Niyitha’el; le certezze li opprimono, non c’è posto, nel loro animo, per cose come la stabilità, il senso di sicurezza, di protezione. Guido Gozzano era Niyitha’el, e ciò che lo rende tanto incantevole in certe sue famose liriche – scritte negli stessi anni degli esperimenti dei Wright – è proprio quel suo modo di guardare alla quieta vita borghese come a un oppio, o addirittura a un veleno, dolciastro e mortale, con cui tanti si suicidano e lui no:

«Dove andrà?» – “Dove andrò? Non so… Vïaggio.

Vïaggio per fuggire altro vïaggio…

Oltre Marocco, ad isolette strane,

ricche in essenze, in datteri, in banane,

perdute nell’Atlantico selvaggio…”

La signorina Felicita

Viaggiare! Compose un libro di liriche sulle farfalle (poter volare!) e poi partì per l’India, per contemplare le montagne più alte del mondo. I Niyitha’el non possono che sorridere, riconoscendo nella sua opera poetica tutta la gamma emozionale di quelle esitazioni che possono trattenerli anche per decenni, prima del decollo – come risulta anche, in versione pop, dalla canzone più memorabile della Niyitha’el Gigliola Cinquetti, Non ho l’età. E quando finalmente decidono di averla, l’età, allora partire, per loro, è smettere di morire. Diventano d’un tratto i massimi esperti della Provvidenza, che com’è noto assiste e finanzia soltanto chi si mette in gioco. Scoprono in sé stessi un’energia tanto più strabiliante quanto più si lasciano indietro qualche limite:

La Terra il Mare il Cielo l’Universo

per usare un altro verso gozzaniano, da In morte di Giulio Verne. Si pensi al Niyitha’el Steven Spielberg. Gioiscono anche nel fermarsi, al di là di qualche confine appena superato – geografico, estetico o morale: non fa grande differenza per loro –, per dare lezioni di coraggio a chi non l’ha varcato: come Paul Klee, nell’arte astratta; o Jean Genet, con la sua vita di scandali. Non per nulla il loro santo è il Niyitha’el Thomas Becket, l’arcivescovo di Canterbury, che preferì farsi uccidere piuttosto che sottomettersi agli ordini del suo re. E fu il Niyitha’el Paracelso il primo a sostenere che i processi chimici sono gli stessi nel nostro corpo e nella natura (che voglia d’immenso!), e venne perciò sbeffeggiato dai colleghi nelle università d’ allora; per tutta risposta, diede scandalo mettendosi a insegnare in lingua popolare – in tedesco – invece che in latino, allora d’obbligo. Viaggiò a lungo, fino in Russia, Asia e Africa, sempre insofferente di ogni autorità. Alterius non sit, qui suus esse potest, era il suo motto: non decida di appartenere a un altro, chi può appartenere a sé stesso! Perfetto talismano contro la peggiore tentazione dei Niyitha’el, che è quella di placarsi, di non cercare più. Fino a che osano più di chi li circonda, anche i loro difetti possono risultare pregi: i modi provocatori, la testardaggine, l’ambizione, e addirittura la frettolosità con cui liquidano le opinioni altrui, non appena vi annusano tracce di conformismo… All’opposto, questi difetti possono divenire altrettanti tormenti per loro stessi e soprattutto per gli altri, quando i Niyitha’el, invece di partire, rimangono, o invece di insubordinarsi si adeguano: la loro ambizione si trasforma allora in ansia, in terrore di perdere il poco che hanno (è sempre poco, per loro), e in gelosia, in invidia; la testardaggine, in stupidità; la voglia di provocare, in cinica rabbia, prodromo di depressione. In buona parte di loro, tale trasformazione è d’altronde ciclica: l’umore cupo riappare ogni volta che rallentano, e svanisce quando ricominciano ad accelerare. Tutt’altro che facile è la loro vita sentimentale; il matrimonio, specialmente, li delude con grande rapidità. Deleterio è per loro qualsiasi lavoro fisso che non implichi, oltre ai viaggi, anche rischi o frequenti imprevisti. E guai ad averli come capi: la costanza e i compromessi che la carriera avrà loro imposto non potranno non averli incattiviti, e l’idea stessa di avere dei sottoposti – di doversi adattare ai tempi, ai limiti altrui – li farà sentire perennemente come aquile in trappola, disperate, penose.

Il bambino Niyitha’el.

Un giorno partiranno per luoghi sconosciuti e avventure strane, e solo allora saranno felici e troveranno la loro strada. Aiutateli a fare in modo che ciò avvenga il più presto possibile. Da un lato, quindi, coinvolgeteli in tutto ciò che è domestico, fategli fare indigestione di casa e famiglia, così che non li freni il sospetto di non aver avuto abbastanza su questo versante della realtà, o di non aver dato abbastanza; dall’altro, educateli al coraggio, all’osservazione, alla prudenza, all’intuizione, alla prontezza, come se dovessero partire domani per qualche spedizione antropologica. Aggiungete al loro equipaggiamento, se potete, anche qualche robusto valore morale, laico possibilmente: uguaglianza, fratellanza, libertà, tolleranza – cose insomma che tornino utili in qualsiasi parte del mondo, e che al tempo stesso diano al piccolo Niyitha’el una sensazione d’autonomia, se non addirittura la certezza di poter trovare in sé stesso la risposta a ogni interrogativo che il mondo può porgli. Se riuscirete anche soltanto in parte in questa magnifica impresa, diventerà presto una specie di patriarca viaggiatore, donatore di equilibrio e serenità, esempio di coraggio e buon umore. Se no, rischierà di sospirare a lungo sulla porta di casa o alla finestra del suo ufficio, guardando le stagioni e l’orologio, anno dopo anno, invano.

Claviculae Angelorum:

Protezione contro la rassegnazione. Lungimiranza. Protezione contro l’esitazione, la pusillanimità e il timore delle novità.

Qualità di Nithael e ostacoli dall’energia “avversaria”.

 Le qualità che sviluppa Nithael sono rispetto dei valori, amore per la Legge e la legalità, galanteria, tenerezza, sentimenti religiosi, nobiltà d’animo, dolcezza, gioia, stabilità, prestigio, eloquenza. Concede fama attraverso le proprie opere, reputazione nel mondo scientifico e dell’arte, benevolenza e favori accordati da persone autorevoli o dalle autorità dello Stato. Accorda inoltre protezione dai pericoli, aiuto divino nelle difficoltà e la capacità di portare aiuto ai sofferenti. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario a Nitahel si chiama Omet e rappresenta l’astio contro l’autorità e chi la detiene, dunque anche astio o invidia contro chi detiene mezzi e poteri. Causa rovesci di fortuna, attaccamento, invidia, rovina, rivoluzioni e illegalità, nonché distruzione dei rapporti, sconvolgimenti in ogni campo della vita degli uomini.

Meditazione associata al Nome: la morte della morte.

La meditazione associata a Nithael si chiama “la morte della morte”. Secondo la Kabbalah questo Nome fornisce lo strumento meditativo più efficace a contrastare nella propria vita il senso di morte, l’angoscia e il blocco che in un determinato momento della vita può essere collegato a qualcosa che finisce. Il potere della morte non si limita infatti al corpo fisico. Essa si manifesta anche nei processi della vita, ad esempio nella fine di un’amicizia, nel fallimento di un’impresa, nello scioglimento di un matrimonio. Quando le cose finiscono, o cose buone corrono il rischio di finire, questo Nome caccia la morte.

 Meditazione.

Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione:

per il potere di questo Nome focalizzo ora la mia attenzione e medito con totale adesione e certezza sull’assoluta e definitiva scomparsa dell’angelo della morte.

 Esortazione angelica.

Nithael esorta a riconoscere, nei beni e nelle gioie terrene, il riflesso della Bellezza divina; a non temere la morte e la fine dei beni, consapevoli che la vita si estende ben oltre le percezioni fisiche: esorta alla gratitudine per la Bellezza, a invocare per tutti una felicità fatta di potere e di splendore, a prodigarsi in prima persona, tramite i propri talenti, per diffondere la bellezza nel mondo.

Giorni e orari di Nithael.

Se sei nato nei suoi giorni di reggenza Nithael è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 2 marzo, 14 maggio, 28 luglio, 10 ottobre, 21 dicembre; ed egli governa ogni giorno, come “angelo della missione”, le energie dalle h.17.40 alle 18.00. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l’orario migliore in cui tutti lo possono invocare. La preghiera tradizionale rivolta a Nithael è il versetto il 19° versetto del Salmo 102: Il Signore ha stabilito nel cielo il suo trono e il suo regno su tutto l’universo domina (Dominus in coelo paravit sedem suam; et regnum ipsius omnibus dominabitur).

 SIMBOLOGIA OCCULTA.

Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.

A ciascuna delle 22 lettere ebraiche sono associati dei numeri, dunque ad esse possono venire associate anche corrispondenze con le relative simbologie dei 22 Arcani maggiori dei Tarocchi; questo può essere interessante per chi desidera interrogare questi simboli sul piano dell’introspezione psicologica. In questo caso la radice nun-yod-thaw risponde alla configurazione: “la Temperanza – la Ruota della fortuna – il Matto“, da cui la riflessione interiore suggerita dalle domande rivolte da questi arcani. Chiede la Temperanza (protezione, circolazione, guarigione): cosa mi protegge? Quale rapporto devo mantenere con me stesso? Cosa devo curare? chiede la Ruota (il ciclo del mutamento): che ciclo si è concluso, cosa devo cambiare? Quali sono le mie opportunità? Cosa mi aiuta? Cosa sto ripetendo? Quale enigma emozionale mi blocca? Chiede il Matto (libertà, grande apporto di energia): da cosa mi sto liberando? Da cosa devo liberarmi? Come posso canalizzare la mia energia?

Da notare che questa carta, associata alla lettera 22 dell’alfabeto ebraico, in realtà non ha numero: è quella che nelle carte chiamiamo il “jolly”. Rappresenta dunque l’energia originaria senza limiti: la libertà totale, perfino la follia, il caos, ma anche l’impulso creatore fondamentale.

Questa carta rappresenta l’eterno viaggiatore che cammina per il mondo senza legami e senza nazionalità, la cui frase chiave, secondo Jodorowsky, potrebbe essere: “tutte le vie sono la mia via”. Ma attenzione! … Nella sua chiave negativa rappresenta anche la forza che induce a camminare senza meta, verso la distruzione; sta a noi diventare coscienti della forza creatrice che possediamo e saperla orientare senza disperderla.

CORI DI APPARTENENZA E ARCANGELI DI INFLUENZA.

Rimando infine al Coro e alle energie arcangeliche che dispensano influenze ai nati fra il 17 e il 21 dicembre. L’angelo Nithael appartiene al Coro degli Angeli Principati guidato dall’Arcangelo Haniel. Il segno del sagittario e la decade che qui interessa (13-21 dicembre) cadono entrambi sotto il gioioso Arcangelo Hesediel. Con amorevolezza vi rinvio a tali entità angeliche: i nati in questi giorni sono invitati a consultarle, insieme a quella del loro Angelo Custode Nithael. Infatti anche le energie di questi Arcangeli sono al loro fianco. Infine bisogna ricordare che una specifica influenza sulla persona è esercitata anche dall’Angelo che aveva reggenza nell’orario della nascita.

 

Mebahiah, angello 55, dei nati dal 22 al 26 dicembre.

Mebahiah, o Mebahiyah, è il 55esimo Soffio e il settimo raggio angelico nel Coro venusiano degli Angeli Principati, nel quale amministra le energie di Mercurio. Il suo elemento è la Terra; ha domicilio Zodiacale dallo 0 al 5° del Capricorno ed è l’Angelo Custode dei nati dal 22 al 26 dicembre. I sei Angeli Custodi del Capricorno sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati individui seri, dotati di pazienza e senso di responsabilità. Si tratta inoltre di persone ambiziose in senso positivo, in grado di portare a buon fine i loro progetti con silenziosa ponderazione

Il nome di Mebahiah significa “Dio eterno”.

  

Il dono dispensato da Mebahiah è la LUCIDITA’ INTELLETTUALE.

 Mebahiah domina sulla morale e ispira un comportamento esemplare. Dice Haziel che questo Angelo stimola l’esteriorizzazione dei pensieri più nobili dell’individuo, quelli che egli stesso avrà elaborato. Ciò significa che la bellezza dei suoi pensieri dipenderà direttamente dalla qualità delle sue riserve mentali interiori. Se infatti il suo intelletto (ovvero il suo Corpus mentale) fosse colmo di contenuti mediocri o tetramente ambigui, l’Angelo stenterebbe a pervenire a esiti soddisfacenti. Ma colui che gli si affida pienamente si esprimerà con grazia e cortesia, e alla fine saprà estrarre dal Pensiero Divino (infuso dall’Angelo) la parte più preziosa; egli possiede il dono dell’immagine, ed il suo eloquio sarà percorso da esempi che faciliteranno la comprensione delle idee. Saprà dunque esprimersi con la parola e col ricorso ai simboli. In altre parole, che facciano i giornalisti o i politici, i protetti da Mebahiah potranno avere ascendente sui loro simili e, se metteranno l’intelligenza e il pensiero al servizio della verità e di progetti importanti, otterranno da lui piena riuscita. L’unione delle energie venusiane e mercuriali, infatti, fa sì che l’energia di questo angelo porti fecondità (Venere) ed eloquenza (Mercurio); aiuta a lasciarci guidare dalla Grazia; infonde idee chiare e la capacità di regolamentare i desideri. Concede la facoltà di giudicare con lucidità e intelligenza accogliendo nuovi concetti senza pregiudizi. Sappiamo che secondo la Kabbalah tre versetti dell’Esodo (ciascuno composto da 72 lettere), celano il codice dei 72 Nomi di Dio; e precisamente i versetti 19, 20 e 21 del capitolo 14. Riguardo alle origini delle lettere nel trigramma-radice di questo Nome, mem-beth-he, la Mem (pesce) proviene da: “Anche la colonna di nube che li precedeva si mosse e dal davanti passò indietro” (Esodo, 14, 19).  La Beth (casa) viene da (Esodo, 14, 20): “venendosi a trovare fra l’accampamento degli Egiziani e quello di Israele“; mentre la Hé (finestra) proviene da (Esodo 14, 21): “e l’Eterno, durante tutta la notte, ritirò (prosciugò) il mare con forte vento da Oriente“. Il rebus formato da queste 3 lettere, in relazione alla loro origine, dà l’immagine della stabilità. questi segni suggeriscono inoltre che questo angelo ispiri idee luminose (interpr. Muller-Baudat).

Mebahiah secondo Sibaldi.

Mebahiyah mem-beth-he

«Io plasmo e produco forze spirituali»

 Come tutti i Principati, anche Mebahiyah conferisce ai suoi protetti grande energia e abnegazione, idealità e tenacia, vivace immaginazione e acuta sensibilità per i valori etici: in più, li munisce di una mente lucida, metodica, coraggiosa, estroversa. È tutto quel che occorre per intraprendere opere grandi e nuove, senza lasciarsi intimidire né da quel che già esiste, né dalle resistenze che il nuovo incontra sia nei singoli individui, sia nella società intera: così che risulterebbe del tutto legittima, dal punto di vista dell’angelologia, la tradizione secondo cui dovettero essere questi i giorni in cui nacque Gesù di Nazareth. Il 26 nacque anche Mao Zedong, nel cui destino prevalse nettamente la lettera mem, che in geroglifico è anche l’immagine della forza coesiva, della capacità di riunire i molti e di imporre loro norme, che in un Mebahiyah non possono che essere rivoluzionarie. Il 25 nacque Sadat, che perse la vita per aver voluto cercare un accordo tra Egitto e Israele: cosa che – lui lo sapeva benissimo – sarebbe stata intollerabile per il mondo arabo; ma tipico dei Mebahiyah è il mettere in conto il martirio, quando credono in qualcosa, e senza batter ciglio. Le altre due lettere del Nome dell’Angelo, beth e he, che raffigurano un profondo aprirsi dell’animo all’ispirazione, alla scoperta dell’invisibile, improntano invece la vita di Nostradamus (nato il 24), che esplorava il futuro, e di Champollion (il 23), che giovanissimo decifrò i segreti dell’antica lingua egiziana: e si noti come nell’uno e nell’altro trovi alimento anche la dimensione sistematica, normativa della mem: in Champollion, nella ricostruzione di un’intera lingua antica; in Nostradamus, nell’ampio, arcano disegno metastorico che le Centurie intendevano costituire. Ciò che invece non trova appiglio nell’animo dei Mebahiyah è l’elementare logica del guadagno: la prospettiva di accumulare denaro non solo non li stimola, ma li infastidisce addirittura. Traggono slancio dall’altezza dei loro ideali, dalla tensione che occorre per raggiungerli, dall’immagine eroica che in tal modo possono avere di sé: con la conseguenza che quanto più disinteressata è una loro impresa, tanto maggiori finiscono per l’esserne anche gli introiti – e viceversa, quanto più si sforzano di preoccuparsi del tornaconto, tanto meno riescono a impegnarsi in ciò che fanno. «Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste altre cose vi saranno date in aggiunta», come diceva appunto Gesù, in perfetto stile mebahista. Si avverte, in questo loro snobismo economico, una profonda esigenza di libertà, una ricerca dell’assoluto: e proprio questo è l’unico vero bisogno dei Mebahiyah, a cui tutti gli altri loro bisogni più concreti vengono sacrificati volentieri. In ciò può certamente consistere la loro forza principale, quando riescono a osare e a farsi valere nella loro professione, o missione (i due termini devono diventare sinonimi per i Mebahiyah, perché il loro cuore sia in pace); ma talvolta si trova qui anche il loro punto più debole, per quanto riguarda la vita privata. Tendono infatti, da un lato, a idealizzare i loro partner e amici, e dall’altro (appunto perché non sanno prestare orecchio ai propri bisogni) ad accontentarsi di troppo poco, e anche di persone troppo dappoco. Si lasciano così prendere al laccio e, tutti intenti nelle loro attività o presi dai loro scopi sublimi, non hanno né tempo né sufficiente concentrazione e volontà per riuscire a liberarsi. Si pensi alla trappola che, secondo la tradizione, Gesù si lasciò tendere da Giuda; o alla tragica infelicità coniugale del Mebahiyah Giacomo Puccini, che tanto a lungo desiderò, invano, sottrarsi ai ricatti di una moglie che non lo capiva (Puccini morì di cancro alle vie respiratorie, tipica malattia mortale di chi si sente prigioniero di una situazione). La sorte dei Mebahiyah sarebbe facilmente splendida, se solo riuscissero a incanalare almeno una piccola parte delle loro altissime aspirazioni nella vita quotidiana, e a impiegare, nel realizzarle, anche soltanto un infinitesimo delle loro doti organizzative. Il sublime, invece, li porta soltanto in alto, per lo più. Del tutto comprensibilmente, può capitare che a un certo punto i Mebahiyah si stufino della pochezza di chi hanno intorno («Oh, generazione incredula e perversa! Fino a quando dovrò sopportarvi?» Matteo 17,17) e che magari, misurando in un momento cupo la larga differenza tra gli ideali del loro cuore e la dozzinalità del prossimo, siano tentati di considerare o quelli o quest’ultimo come insignificanti, e come insensato ogni tentativo di portare ideali al mondo. Si ha allora o il tipo di Mebahiyah eremita ed enigmatico (come Carlos Castaneda), o il tipo scettico, cinico, materialista, sarcastico o irritabile dinanzi a tutto ciò che riguardi la spiritualità o l’invisibile (Piero Angela, per esempio).

Quest’ultimo è una specie di inversione che invece di forza d’animo, genera soltanto animosità; invece di valori morali, soltanto un po’ di moralismo, e come tutti i sistemi che adottiamo per difenderci da noi stessi, ne deriva una lunga, sottile spirale di infelicità più o meno segreta. Purtroppo è frequente. I Mebahiyah non invertitisi sono stati, in ogni epoca, fuori moda, e questa è una condizione che richiede caratteri molto robusti e una buona dose di genialità, per poterla reggere.

Il bambino Mebahiyah.

Sono benefattori, cercatori di verità: proteggeteli da tutto ciò che è banale. Banale è l’egoismo, la competitività, l’interesse; banali sono le mode, le spiagge d’estate, la settimana bianca in inverno. Abituateli fin da piccini a comprendere e a scansare questi punti obbligati della stragrande maggioranza dei loro connazionali, e non sentirsi isolati per questo, bensì provvidenzialmente diversi. Noterete presto l’emergere delle loro componenti idealistiche, che né ora né mai considereranno tali: gli ideali, ai loro occhi, saranno soltanto progetti più o meno a lunga scadenza, assolutamente realistici e incomparabilmente più ragionevoli del nostro disastratissimo mondo. Non scoraggiateli: là dove esagerano, semmai, segnalate loro con la dovuta discrezione la necessità di non cadere nella retorica, o di smussare le durezze massimaliste; ma anche nel far ciò, mostrate senza possibilità di dubbio di prenderli assolutamente sul serio, di approvare tanto coraggio, e magari rammaricatevi (il più visibilmente possibile) di non averne avuto altrettanto ai tempi vostri. Quanto alla loro voglia – anch’essa precoce – di sperimentare la condizione di eroe, soddisfatela con qualche sport leggendario: la boxe, per esempio, per i maschietti; l’atletica, per le femmine – utilissimi entrambi, per individui che, come i Mebahiyah, abbiano tra le loro necessità primarie quella di superare sempre se stessi.

Claviculae Angelorum:

La scoperta e la diffusione di idee nuove. Fortuna nelle imprese disinteressate. Grande energia. Tenacia. Slancio ideale. Protezione contro lo sconforto.

Qualità di Mebahiah e ostacoli dall’energia “avversaria”.

Le qualità che sviluppa Mebahiah sono creatività fisica e spirituale, ottimismo, comunicativa, riflessione prima dell’azione; spirito caritatevole e generoso; forza morale. Concede consolazione ed esaudisce coloro che desiderano avere figli. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Maggid e rappresenta la diffidenza infondata. E’ nemico della rettitudine, ispira rifiuto della visione interiore e della spiritualità; causa bestemmia, menzogna, ipocrisia, volgarità, frode.

Meditazione associata al Nome: pensiero in azione.

La meditazione associata a Mebahiah si chiama “pensiero in azione”. Secondo la Kabbalah questo Nome fornisce lo strumento meditativo più efficace a contrastare quei blocchi per cui i nostri pensieri non si realizzano mai e vengono rimandati; l’entusiasmo si spegne; o semplicemente ci arrendiamo; si rivela dunque estremamente utile per le persone che vedono la vita bloccata, o per quei periodi della vita in cui ci sembra che tutto stia stagnando.

Meditazione.

Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione:

per il potere di questo nome si riconnettono i Mondi superiori e quelli inferiori; tutto riprende a scorrere; trovo il coraggio e il coinvolgimento per raggiungere i miei scopi e realizzare i miei sogni. I miei pensieri si realizzano e le mie idee migliori si trasformano in azioni, e dunque in risultati concreti

Esortazione angelica.

Mebahiah esorta ad andare alla ricerca del divino nelle più piccole cose del quotidiano: in ciò che è semplice, umile e spesso trascurato si nascondono tesori e pulsa la vitalità dell’intero universo; in piena fiducia, coltivando la fede, si scoprirà che dalle piccole cose nascono le grandi. Che noi abbiamo enorme potere sul mondo ed è nostro compito seminare, con la stessa fiducia, gli ideali che possono rinnovare noi stessi e la realtà intorno.

Giorni e orari di Mebahiah.

Se sei nato nei suoi giorni di reggenza Mebahiah è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 3 marzo, 15 maggio, 29 luglio, 11 ottobre, 22 dicembre; ed egli governa ogni giorno, come “angelo della missione”, le energie dalle h.18.00 alle 18.20. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l’orario migliore in cui tutti lo possono invocare.

La preghiera tradizionale rivolta a Mebahiah è il versetto il 13° versetto del Salmo 101: Ma tu, Signore, permani in eterno, e la memoria di te in generazione in generazione (Tu autem Domine in aeternum permanes: et memoriale tuum in generationem).

 SIMBOLOGIA OCCULTA.

Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.

A ciascuna delle 22 lettere ebraiche sono associati dei numeri, dunque ad esse possono venire associate anche corrispondenze con le relative simbologie dei 22 Arcani maggiori dei Tarocchi; questo può essere interessante per chi desidera interrogare questi simboli sul piano dell’introspezione psicologica. In questo caso la radice nun-yod-thaw risponde alla configurazione: “la Morte – la Papessa – il Papa“, da cui la riflessione interiore suggerita dalle domande rivolte da questi arcani. Chiede la Morte (trasformazione profonda, rivoluzione, chiusura di un ciclo): qual è la mia ira? Cosa deve morire in me? Cosa devo lasciar andare? chiede la Papessa: (gestazione, accumulo) che cosa nascondo? Cosa sto accumulando? Cosa devo studiare? In quali rapporti sono con mia madre? Chiede il Papa (il mediatore, il ponte, l’ideale): che cosa comunico agli altri e con quali mezzi? Ho un ideale?

CORI DI APPARTENENZA E ARCANGELI DI INFLUENZA.

Rimando infine al Coro e alle energie arcangeliche che dispensano influenze ai nati fra il 22 e il 26 dicembre. L’angelo Mebahiah appartiene al Coro degli Angeli Principati guidato dall’Arcangelo Haniel. Il segno del Capricorno e la decade che qui interessa (22-31 dicembre) cadono entrambi sotto l’Arcangelo Binael. Con amorevolezza vi rinvio a tali entità angeliche: i nati in questi giorni sono invitati a consultarle, insieme a quella del loro Angelo Custode Mebahiah. Infatti anche le energie di questi Arcangeli sono al loro fianco. Infine bisogna ricordare che una specifica influenza sulla persona è esercitata anche dall’Angelo che aveva reggenza nell’orario della nascita.

 

Poyel, angelo 56, dei nati dal 27 al 31 dicembre.

Poyel, o Phuwiy’el, è il 56esimo Soffio e l’ottavo raggio angelico nel Coro venusiano degli Angeli Principati, nel quale amministra le energie della Luna. Il suo elemento è la Terra; ha domicilio Zodiacale dal 5°al 10° del Capricorno ed è l’Angelo Custode dei nati dal 27 al 31 dicembre. I sei Angeli Custodi del Capricorno sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati individui seri, dotati di pazienza e senso di responsabilità. Si tratta inoltre di persone ambiziose in senso positivo, in grado di portare a buon fine i loro progetti con silenziosa ponderazione

Il nome di Poyel significa “Dio che sostiene l’Universo”.

 Il dono dispensato da Poyel è l’insieme costituito da TALENTO, FORTUNA e MODESTIA.

Questo angelo è considerato latore dei doni della Provvidenza: domina sulla fortuna, la speranza e l’ottimismo. Poyel concretizza le energie della Luna, le forze inconscie che formano le immagini della nostra interiorità, ed è l’Angelo più generoso e seducente, assegnato a coloro che ne hanno meritato la guida agendo bene nelle vite precedenti. Egli offre ai suoi protetti i doni più preziosi, recando in sé le energie di Venere (Bellezza e Salute), di Urano (Amore) e di Giove (Abbondanza e Potere). Tutto questo è offerto a queste anime perché esse possano proiettarlo all’esterno, facendo partecipi gli altri della loro piena realizzazione. Secondo Haziel questo Angelo elargisce a pioggia un’autentica profluvia di ricchezze, bellezza e armonia, tramite la fonte ineffabile dei nostri sentimenti; egli d’altronde ha il compito di sbloccare sentimenti cosmici, per metterli a disposizione dell’individuo. Questi pertanto sarà educato, raffinato, compito, non per costrizione o formazione, bensì per un suo modo di essere innato (…); darà prova di notevole perizia in tutte le attività nelle quali i sentimenti costituiscono un fattore di portata determinante; sarebbe errato, tuttavia, parlare in termini di vocazione, giacché la Volontà del soggetto sarà in qualche misura orientata dalla forza dell’amore irraggiata da un Angelo mirabile quale è Poyel.

Ma, aggiunge, l’azione dell’angelo potrà essere ritardata da qualche attaccamento che àncora la persona al mondo interiore delle sue radici o dell’infanzia; soprattutto alla madre, a cui questi nati potranno rivolgere un amore così intenso da creare un ostacolo all’aprirsi verso l’esterno, all’amore adulto. La preghiera a Poyel è lo strumento in grado di sbloccare questi sentimenti.  Secondo Sibaldi questo blocco si può anche descrivere come una paura di affrontare la bruttezza del mondo, e rappresenta invece lo sprone a guardare più profondamente in se stessi.

Sappiamo che secondo la Kabbalah tre versetti dell’Esodo (ciascuno composto da 72 lettere), celano il codice dei 72 Nomi di Dio; e precisamente i versetti 19, 20 e 21 del capitolo 14. Riguardo alle origini delle lettere nel trigramma-radice di questo Nome, peh-waw-yod, la Peh (bocca) proviene da: “Anche la colonna di nube che li precedeva si mosse e dal davanti passò indietro” (Esodo, 14, 19).  La Vav (gancio) viene da (Esodo, 14, 20): “venendosi a trovare fra l’accampamento degli Egiziani e quello di Israele“; mentre la Yod (mano) proviene da (Esodo 14, 21): “e l’Eterno, durante tutta la notte, ritirò (prosciugò) il mare con forte vento da Oriente“. Il rebus formato da queste 3 lettere, in relazione alla loro origine, dà l’immagine del controllo delle emozioni. Questi segni suggeriscono inoltre che questo angelo ispiri la parola che conforta (interpr. Muller-Baudat).

Poyel secondo Sibaldi.

Phuwiy’el peh-waw-yod

«La mia bocca si chiude per l’indignazione»

 Peh in ebraico significa «la bocca», e la lettera peh, nell’alfabeto geroglifico, è anche il simbolo del viso che si rivolge agli altri, per parlare, per esprimere, per mostrare la propria bellezza. Il viso dei Phuwiy’el, per lo più, vorrebbe invece volgersi via da un mondo umano che a loro appare irrimediabilmente brutto, ostile e ottuso. Il loro Angelo è maestoso, parente stretto di Haziy’el e Yabamiyah: e proprio come questi due, dona ai suoi protetti una vista acuta, una mente limpida, un animo immune da illusioni e libero da brame di conquiste, di carriera. Li abbiamo chiamati Angeli dei Re: di chi nasce già re; e di tale regalità tocca in sorte ai Phuwiy’el l’aspetto più difficile: l’acuta percezione della differenza tra l’armonia che abita in loro, e il caos che perturba e annebbia le vite degli altri. Quanta gente intorno a loro si spreca in lotte inutili, meschine, e desidera banalità, e crede in sciocchezze, e non sa e non vuol sapere, e non si ferma mai a riflettere! «Non mi ascolteranno, non capiranno mai», pensa il Phuwiy’el, e stringe le labbra, e i suoi occhi osservano come da un’immensa lontananza. In quest’espressione, d’altra parte, la sua bellezza appare ancora più intensa: l’aristocratico sguardo della Phuwiy’el Marlene Dietrich, freddo e struggente al tempo stesso, ne dà un’immagine perfetta e indimenticabile. E pensare che potrebbero avere tutto: i Phuwiy’el dispongono di enormi doti e nulla impedisce loro di riuscire in ogni campo. «Ma perché?» si domandano. «A che scopo?» E rischiano di esitare sempre tra essere e non essere, come Amleto nel suo monologo. L’amarezza può diventare sconforto, e allora altro che Marlene Dietrich! Appaiono chiusi e incerti, votati all’esclusione e alla sconfitta, le loro labbra balbettano: il Phuwiy’el Paolo Villaggio ha interpretato appunto questa variante nei suoi personaggi famosissimi, Fantozzi in particolare. Oppure sprofondano in un solitario pessimismo, alla maniera d’un Giovanni Pascoli, Phuwiy’el anche lui, tanto innamorato delle ferite che il mondo gli aveva inferto. O ancora, quando l’amarezza vuol farsi valere e magari prendersi rivincite sul mondo deprimente, possono mostrarsi presuntuosi e scostanti, e squadrarvi dall’alto in basso, come delusi a priori da voi e da chiunque. Sono, queste, tendenze quasi irresistibili nei Phuwiy’el: ma è bene che facciano leva su quel quasi, e si impegnino a trasformarle. Le potranno volgere fruttuosamente nel loro contrario, in particolar modo se decidono di specializzarsi in una qualunque attività che riguardi il viso, la voce e più in generale l’espressione, e più in generale ancora la bellezza; oppure la bocca, i denti, l’alimentazione. Proprio le difficoltà che i Phuwiy’el hanno dovuto affrontare fin da piccoli nel rapporto con gli altri, forniscono loro competenze di prim’ordine per la professione, per esempio, di esperto della comunicazione: dal docente in una scuola di giornalismo, di canto, di recitazione, al logopedista, all’otorinolaringoiatra. La loro bellezza interiore può ispirarli potentemente in tutti i campi legati all’estetica. E quanto ai denti e alla nutrizione, un famosissimo Phuwiy’el fu Louis Pasteur, che introdusse nella conservazione dei cibi il processo che da lui prese il nome; e scoprì anche l’antidoto per la rabbia, trasmessa, com’è noto, dai morsi. Le predisposizioni puwieliane favoriscono, infatti, anche lo studio dell’immunologia, dell’epidemiologia, della prevenzione: di tutte quelle scienze e tecniche, insomma, che mirano a difendere l’organismo da ciò che nel mondo è infetto. I Phuwiy’el sono abbastanza generosi da potersi dedicare agli altri in questi campi, anche se, non avendo Energia Yod, sarà più prudente che preferiscano la ricerca alla pratica medica. Va notato inoltre che tra i pericoli che minacciano la loro salute, proprio le infezioni sono al primo posto: dunque, quanto più sapranno sull’argomento, tanto più robuste saranno anche le loro difese in quella direzione. Se poi dovesse capitare loro di entrare a far parte di una reggia o qualcosa di simile, con l’indole regale che hanno vi si troverebbero perfettamente a loro agio: non tengono alla carriera, come dicevo, ma potrebbero incontrare un compagno che abbia una carica di grande rilievo, e come consiglieri e ispiratori darebbero il meglio di sé (nel suggerire a fior di labbra), specialmente se ciò che il loro partner dirige contribuisce a migliorare l’aspetto e il livello culturale della gente. Madame de Pompadour era una Phuwiy’el, e non solo fu utilissima a Luigi XV, ma seppe volgere la reggia in favore degli illuministi, ancora mansueti a quell’epoca. Non che si aspettino, i Phuwiy’el, che il mondo cambi davvero: il loro compito è e sarà sempre quello di rappresentare, o perlomeno di custodire in se stessi, un grado del sublime che la restante umanità non raggiunge ancora; ma, certamente, più lo faranno sapere in giro e meglio sarà per loro e per tutti. Arcangeli Gli Arcangeli annunciano. Dissolvono cioè il confine tra la dimensione umana e quelle superiori, come un vento che diradi non soltanto le nubi ma anche la superficie delle sfere celesti. Perciò furono Arcangeli a parlare a Maria di Nazareth, e a Maometto. Coglierli e ascoltarli significa ampliare d’un tratto e vertiginosamente il proprio campo visivo, e soprattutto scorgere dall’alto i propri limiti: il proprio passato, per esempio, e sentirsene liberi; o la propria razionalità, e ciò che a questa appariva vero e sufficiente; o i legami con altre persone. Può durare un attimo, ma quell’attimo apre un varco che rimane per sempre: allora altre leggi, infatti, prendono forma nell’animo, diverse da quelle del mondo quotidiano, e la mente comincia a cercare le parole per esprimerle – e potrebbe occorrere una vita intera per trovarne. Sono immaginati, gli Arcangeli, con ali striate di molti colori; ed è un simbolo della nostra facoltà di percepire l’infinito in ogni cosa: quando infatti guardiamo i contorni di un oggetto, di un volto, di un occhio, vediamo i suoi confini, i limiti che dal tempo gli sono stati imposti; quando ne guardiamo il colore, vediamo invece il contenuto che lì viene, nel nostro mondo, limitato, e che, tra le cose visibili, è ciò che più si avvicina all’atemporale, all’eterno. Puoi provare a vedere intorno e in te solamente i colori, e non i contorni: quella è la soglia della dimensione arcangelica, e lì puoi ascoltare.

Il bambino Phuwiy’el.

 C’è un concetto fondamentale per i piccoli Phuwiy’el, che va chiarito il prima possibile e senza possibilità di dubbio: esiste una nobiltà di spirito, ed essi sono da questo punto di vista nobilissimi. Nobiltà di spirito è la necessità e l’insindacabile diritto di provare ed esprimere sentimenti elevati, di amare la bellezza e di essere belli in ogni senso, di mostrarsi generosi e di proteggere e aiutare gli altri, senza lasciarsi minimamente influenzare dal fatto che il mondo vada per lo più in un’altra direzione. Noblesse oblige, e non sono ammesse deroghe: non permettete a questi aristocraticissimi bambini di soffrire a causa della loro differenza dagli altri; è un dono e non un guaio; è una soluzione, e non un problema. Essere un piccolo lord può diventare un gioco molto piacevole – e durare anche tutta la vita, se saprete incoraggiarli a dovere. E non temete che diventino vanitosi: non c’è pericolo, la nobiltà di spirito l’hanno davvero e non si abbasserebbero a tanto. Il loro vero rischio è che la bruttezza, la volgarità, la banalità li feriscano troppo profondamente, e tolgano loro ogni slancio. Corazzateli di fierezza, e saranno personaggi da fiaba.

Claviculae Angelorum:

Avere tutto. Protezione contro il timore di farsi udire. Protezione contro le infezioni.

Qualità di Poyel e ostacoli dall’energia “avversaria”.

Le qualità che sviluppa Poyel sono tutte quelle derivate dalla modestia e dalla moderazione; semplicità, sicurezza, una consapevolezza dei propri limiti, l’umiltà capace di espandere la conoscenza e andare in aiuto agli altri. Dona la capacità di dominare i propri lati oscuri; elargisce buonumore, ottimismo, allegria; carattere conciliante, portatore di pace e tranquillità. Concede amore, salute, ricchezza, erudizione, senso dell’umorismo. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Igurim e rappresenta il blocco, l’immobilità. Causa orgoglio, ambizione smisurata, noncuranza, pessimismo, paura; situazioni bloccate.

Meditazione associata al Nome: dissipare la rabbia.

La meditazione associata a Poyel si chiama “dissipare la rabbia”. Secondo la Kabbalah, infatti, questo Nome fornisce lo strumento meditativo più efficace per liberarsi di riferimenti, persone situazioni che, come idoli che incatenano, dominano il nostro comportamento facendoci sentire compressi.

Meditazione.

Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione:

invocando il potere di questo nome rimuovo il potere e il fascino degli idoli che controllano il mondo. Dal mio cuore purificato dalla rabbia ora sgorgano la mia felicità e la pace della mente.

 

Esortazione angelica.

Poyel esorta a rendere partecipi gli altri e il mondo delle proprie ricchezze interiori: a cercare in sé le forze inesauribili che scaturiscono dalla fiducia e dall’amore e a effonderle, in azioni e parole nel mondo, come fa la fonte che dona la propria acqua.

Giorni e orari di Poyel.

Se sei nato nei suoi giorni di reggenza Poyel è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 4 marzo, 16 maggio, 30 luglio, 12 ottobre, 23 dicembre; ed egli governa ogni giorno, come “angelo della missione”, le energie dalle h.18.20 alle 18.40. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l’orario migliore in cui tutti lo possono invocare. La preghiera tradizionale rivolta a Poyel è il versetto il 14° versetto del Salmo 144: Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto (Allevat Dominus omnes qui corruunt et erigit omnes depressos).

 SIMBOLOGIA OCCULTA.

Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.

A ciascuna delle 22 lettere ebraiche sono associati dei numeri, dunque ad esse possono venire associate anche corrispondenze con le relative simbologie dei 22 Arcani maggiori dei Tarocchi; questo può essere interessante per chi desidera interrogare questi simboli sul piano dell’introspezione psicologica. In questo caso la radice peh-waw-yo risponde alla configurazione: “la Stella – l’Innamorato – la Ruota della Fortuna“, da cui la riflessione interiore suggerita dalle domande rivolte da questi arcani. Chiede la Stella (l’azione nel mondo, la ricerca del proprio posto): qual è la mia speranza? Quale il mio posto? In quali attività impiego energie? Chiede l’innamorato (l’androgino divino, il libero arbitrio, la ricerca della Luce): che scelte devo operare? In quali relazioni sono attualmente coinvolto? Qual è il mio stato emozionale? Chiede la Ruota (il ciclo del mutamento): che ciclo si è concluso, cosa devo cambiare? Quali sono le mie opportunità? Cosa mi aiuta? Cosa sto ripetendo? Quale enigma emozionale mi blocca?

CORI DI APPARTENENZA E ARCANGELI DI INFLUENZA.

Rimando infine al Coro e alle energie arcangeliche che dispensano influenze ai nati fra il 27 e il 31 dicembre. L’angelo Poyel appartiene al Coro degli Angeli Principati guidato dall’Arcangelo Haniel. Il segno del Capricorno e la decade che qui interessa (22-31 dicembre) cadono entrambi sotto l’Arcangelo Binael. Con amorevolezza vi rinvio a tali entità angeliche: i nati in questi giorni sono invitati a consultarle, insieme a quella del loro Angelo Custode Poyel. Infatti anche le energie di questi Arcangeli sono al loro fianco. Infine bisogna ricordare che una specifica influenza sulla persona è esercitata anche dall’Angelo che aveva reggenza nell’orario della nascita.

 

 

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