Premessa.
Durante questa carrellata relativa alle 8 Entità che compongono il Coro dei Serafini il lettore troverà una descrizione dell’Arcangelo che lo Governa. In questo caso la Reggenza spetta a METATRON.
Quindi seguiranno le descrizioni degli altri 8 Geni che appartengono a questo specifico Coro.
Nelle pagine riservate a ogni singolo Angelo troverete varie descrizioni tratte dai libri di Haziel, di Pier Luca Pierini e di Igor Sibaldi. Altro materiale è stato reperito sulla rete.
INOLTRE:
Per ogni Entità Angelica saranno presenti immagini e testi così divisi:
Un ampio spazio è dedicato alla descrizione di ogni Genio secondo Igor Sibaldi (le descrizioni sono tratte da: “Libro degli Angeli” e sono state rivedute dall’autore di un blog); descrizione che, tra tutte le altre di mia conoscenza, io percepisco come la “più affine”.
Un’altro alle caratteristiche caratteriali del bambino governato dal proprio Genio.
La Claviculae Angelorum
Vengono citati più volte i nomi dei Geni scritti con le 22 lettere dell’alfabeto ebraico.
Sono elencate le loro Esortazioni e le loro Invocazioni (secondo Haziel)
Il dono da loro dispensato.
Le date di reggenza. (secondo Haziel e secondo Pier Luca Pierini)
Una breve descrizione dell’energia dell’entità contraria.
La meditazione associata all’Angelo e la relativa immagine composta da lettere dell’alfabeto ebraico.
Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.
Cori di appartenenza e Arcangeli di influenza.
Arcangelo METATRON e Coro degli Angeli Serafini.
La sede di Metatron è la prima Sephira, o Turbine NETTUNO – KETER.
Il suo Nome significa “Colui che sta presso il trono”.
Fra i turbini delle 10 Sephirot (cioè nel disegno dell’Albero della Vita che rappresenta i vortici degli Angeli e degli Arcangeli), Metatron figura all’apice della Gerarchia, essendo la sua vibrazione la più “vicina” all’emanazione diretta di Dio: chiamato anche Re degli Angeli, Principe del Ministero Angelico, Cancelliere del Paradiso, Supremo fra gli Angeli della Morte, Custode e Ordinatore delle Anime. E’ un’entità di immane potenza il cui Nome i cabalisti raccomandavano di non pronunciare.
Ha “72 ali” (quanti i nomi di Dio), innumerevoli occhi (come Dio stesso); come Dio ha molti nomi, supera in potenza tutti gli angeli messi insieme, tanto che è spesso confuso, nella Bibbia, con Dio stesso: e in effetti egli è uno dei volti di Dio. Descritto anche come una Spira Infiammata o come un essere immerso in una luce bianca, ha come ‘gemello’ Sandalphon; è anche colui che raccoglie le anime dei bambini morti appena nati. Metatron è impulso divino per tutte le questioni che attengono al mondo fisico: accorda alla sensibilità umana il potere di recepire ciò che esiste nei Mondi dello Spirito sotto forma di ispirazioni per possibili creazioni e dà luogo all’unione fra Desiderio e Ragione, allo scopo di materializzare le realtà, portandole dai Mondi Superiori ai Mondi Inferiori. La sua energia è dunque una Forza potente che fa percepire agli uomini il mondo spirituale: è Metatron che rivela il Piano della Creazione (dando il dono della profezia), consente di capire l’utilità di una certa linea di comportamento e di intuire il fine delle Leggi Cosmiche.
E’ l’Arcangelo che rende consapevoli della potenza del pensiero e infonde la Volontà: indirizza i desideri umani nei confronti della vita reale permettendo all’uomo di plasmare il mondo “a propria immagine”.
Gli Angeli Serafini sono le entità angeliche più “distanti” dalla condizione umana in quanto più prossime alla sorgente cosmica. Il loro nome significa “gli ardenti”, dal termine “Seraf” il cui significato è bruciante, incendiato. Nome in sé stesso evocatore: essi sono infatti i portatori di Luce e delle energie che comunicano il fuoco. Sviluppano le potenzialità latenti e aiutano a esprimerle, guidando a prendere consapevolezza del proprio ruolo sulla Terra. Si evocano per risvegliare qualità e capacità superiori.
La composizione del coro dei Serafini:
1 Wehewuyah
2 Yeli’el
3 Seyita’el
4 ‘Elamiyah
5 Mahashiyah
6 Lelehe’ el
7 ‘Aka’ayah
8 Kahethe’el
Gerarchia Angelica Serafini
Vediamo che i Serafini sono i più alti spiriti davanti al trono di Dio, vengono menzionati solo una volta nelle Sacre Scritture, ovvero in una visione del profeta Isaia (6:2-7).
Serafini (Draghi o Serpenti alati): sono raffigurati con sei ali e circondano il trono di Dio cantando senza posa “Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti: tutta la terra è piena della sua gloria” (Isaia 6:3). Sono Angeli fatti di amore, luce e fuoco. Questa voce celestiale era talmente tanto vigorosa che “gli stipiti della porta furono scossi” (Isaia 6:4).
Per la saggezza antica i deva o angeli sono i 7 Raggi, essi veicolano le energie o Pensiero Divino, che sono le caratteristiche specifiche che si manifesteranno nella creazione materiale e spirituale.
Serafini è un nome che, se inteso nel suo giusto significato, hanno il compito di ricevere dalla Trinità le somme idee, gli scopi di un sistema cosmico. I Serafini ricevono i piani, le mète del sistema cosmico, sono statici conservatori dell’energia divina increata; pur non conoscendo quella che sarà la Volontà Creatrice, essi reggono fra le loro mani l’energia primordiale e la rendono disponibile nel momento in cui dovrà canalizzarsi per manifestarsi. Sono esseri che ardono di luce e calore, i più lontani dall’uomo, ma più vicini alla sorgente dell’energia Divina.
Possiamo dire che sono l’aspetto Volontà dello Spirituale, fuoco elettrico, fiamma monadica, il Sole centrale spirituale, il piano Adi: il più alto dei 7 piani della creazione. Il suono (canto) dei Serafini è il primo aspetto della trinità Divina, il Padre.
Dai Serafini agli Angeli assistiamo dunque alla “solidificazione” della Volontà Creatrice: i primi ne saranno Puro Specchio, i secondi Custodi e Costruttori a livello fisico.
Vehuiah, angelo 1, dei nati fra il 21 e il 25 marzo.
Vehuiah, o Wehewuyah, o Whwyh, è il primo Soffio, primo raggio angelico nel Coro nettuniano degli Angeli Serafini guidato dall’Arcangelo Metatron, nel quale governa le energie di Urano.
Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dallo 0° al 5° dell’Ariete ed è l’Angelo Custode dei nati fra il 21 e il 25 marzo.
I sei Angeli Custodi dell’Ariete, collettivamente, assicurano ai loro nati un’energia intensa e focosa, generoso entusiasmo e un acceso desiderio di rigenerazione.
Il nome di Vehuiah significa “Dio innalza al di sopra di tutte le cose”.
Il dono dispensato da Vehuiah è la VOLONTA’.
E’ questo il primo nome di Dio, la potenza da cui deriva l’angelo più luminoso. Con la sua desinenza “iah” questo Nome contiene tutte le lettere (Yod He Vav He) del tetragramma sacro YHVH, che i Cristiani hanno reso pronunciabile nella forma Yahvé ou Jéhovah.
Si tratta cioè del Nomedivino: quello che, poiché secondo gli Ebrei non deve essere mai pronunciato, è citato nei salmi come Adonaï. Dalla sua radice VHV (vav – hey – vav, o waw – he – waw) discende “Vehu”, che nella Kabbalah cristiana diventa Vehuiah. Dalla radice di questo Nome deriva una sorta di mantra che ripetuto incessantemente conduce ad attingere lo stato di coscienza del vero Sè. Veuhiah rappresenta e amministra il potere dell’Amore e della Saggezza, capace di condurre l’uomo all’illuminazione da parte dello Spirito di Dio.
Si può anche dire che sia l’angelo dei leader: degli imprenditori e, per estensione, delle persone di successo. Dona infatti carisma e grandi capacità, insegna a osare (a intraprendere, appunto), aiutando ad eccellere nella propria specialità e a sviluppare influenza sulle cose e sulle persone. Per la struttura del proprio nome Vehuiah è l’angelo del dinamismo che, dall’interiorità, ispira anche un’agire condotto con coscienza e determinazione, che può attingere “la dimensione sacra di cambiare la realtà attraverso l’azione spirituale“.
Vehuiah secondo Sibaldi.
Wehewuyah waw-he-waw
«La mia energia trova limiti intorno»
I protetti di questo primo Serafino somigliano a giganti che per romanticismo abbiano deciso di abitare tra gli uomini, di adattarsi al nostro mondo, in cui tutto è, per loro, troppo piccolo e, qua e là, anche troppo complicato. Le due waw, nel Nome, raffigurano appunto gli intralci, le limitazioni che la loro vasta energia incontra ovunque; e la he rappresenta la loro anima, che sarebbe tanto felice di superare quelle limitazioni trasformandole nel contrario: in brillanti vittorie, in trionfali fatiche d’Ercole, che attirino sui Wehewuyah gli sguardi ammirati di quante più persone possibile. Ci riescono, spesso, e in ogni caso un Wehewuyah non mette all’opera le sue numerosissime qualità se non quando gli si profila la possibilità di riuscire in qualche impresa particolarmente difficile, dinanzi alla quale altri abbiano arretrato – sia che si tratti di idee d’avanguardia, di audaci ideali da difendere, di record da battere, o di conquistare il cuore della più bella o del più bello del quartiere. Allora diviene veramente se stesso, quel gigante che è, e si convince di non vivere invano. Viceversa, non è raro il caso che qualcuno di questi giganti resti fermo, bloccato da quelle due waw in qualche periodo della vita; e ciò può avvenire per due ragioni: o perché, semplicemente, non vede attorno a sé nessuna occasione abbastanza ambiziosa, oppure perché qualcuno vuol mettere in dubbio la sua superiorità, e costringerlo a una gara. Il Wehewuyah detesta infatti la concorrenza: sente, sa di essere il più grande in ogni senso, e non può ammettere rivali. Perciò si trovano così pochi atleti, in questi giorni di marzo; perciò i Wehewuyah si trovano talmente a disagio negli uffici, nei lavori di squadra, o dovunque debbano stare in guardia da maneggi e colpi bassi di colleghi che si ritengono o vorrebbero essere pari a loro: preferiscono semmai farsi da parte, più o meno cupamente – o magari tragicamente, come Ayrton Senna, compianto campione di Formula 1, che proprio le gare avevano evidentemente stremato. Svettano invece là dove possono sentirsi protagonisti assoluti e isolati, giganti davvero: su un palcoscenico, su un podio, come Toscanini, Dario Fo, Mina, Battiato, Elton John; o nel loro laboratorio di artisti intenti a imprese ineguagliabili, come Johann Sebastian Bach; o specialisti e scopritori di campi esclusivi, a cui si sentano congiunti da speciali ispirazioni, predestinazioni quasi: come Akira Kurosawa a quel mondo degli antichi samurai che raffigurava appassionatamente nei suoi film. Tanto più essenziale sarà dunque, per loro, una massiccia fiducia in se stessi e soprattutto nella propria vocazione – appunto perché questa può, all’inizio, apparire inusitata ed eccessiva. Se invece (il loro Angelo non voglia!) dovessero lasciarsi scoraggiare, li attende un senso di solitudine e di frustrazione tanto gigantesco quanto i risultati che avrebbero ottenuto se avessero osato. In questa evenienza, il Wehewuyah sconfitto dalla vita abbia almeno l’accortezza di trovarsi un hobby esaltante, il più possibile originale, in cui trionfare, solitario e ineguagliabile, almeno nei weekend. Anche quando conquistano il successo, d’altronde, i Wehewuyah tendono a incappare, presto o tardi, in una serie di problemi caratteristici, che si potrebbero descrivere come una vera e propria sindrome. Da un lato, l’egocentrismo e la vanità – che in loro è spesso massiccia, imperturbabile, mai sfiorata da un lampo di autoironia. Dall’altro, il terrore di perdere, con l’età, la posizione di eccellenza che hanno saputo conquistarsi: e nel tentativo di placarlo possono diventare dispotici, estremamente suscettibili, ostili a chiunque manifesti doti che in futuro potrebbero rubar loro la scena. In realtà si nasconde qui, molto in profondità, la loro vecchia voglia di superare i propri limiti: anche il successo può apparire loro come una limitazione, un ruolo troppo stretto, e il loro cuore di titani avrebbe il segretissimo impulso a liberarsene… Ma per cercare che cosa più su, quando sono già giunti sulla vetta? E d’altra parte, come far giungere tale impulso fino alla coscienza, senza che il loro grosso, vanitoso Ego ne sia sconvolto? Il conflitto interiore che ne risulta può renderli assai infelici e diventare il loro peggior nemico se – come spesso accade – i Wehewuyah provano a difendersene ignorandolo. Cominciano allora a temere qualsiasi tipo di introspezione, non colgono più i segnali di insofferenza che provengono sia da loro stessi, sia da coloro con cui vivono e lavorano: ed è altamente probabile che siano, di lì a poco, vittime di tradimenti, o magari di adulteri. Di solito imparano la lezione: prendono la ferita al loro amor proprio come un’altra waw da superare, e riconquistano ciò e chi hanno rischiato di perdere; ma non è escluso che ne rimangano a lungo doloranti, e nemmeno che la medesima situazione non si ripresenti in seguito. Sarebbe meglio, perciò, provvedere in anticipo, e tener sempre allenata – anche in casa propria – quella sensibilità tattica e strategica che sanno adoperare tanto bene nelle questioni professionali: sono nati conquistatori, lo siano quindi fino in fondo, ogni giorno e in ogni aspetto della vita. Tengano inoltre in dovuta considerazione la loro robusta carica aggressiva che, se può tornare utile nelle fatiche per ottenere il successo, difficilmente riesce a trovare un’adeguata applicazione nei rapporti con il coniuge, i figli, gli amici. Nella vita privata è inevitabile che i Wehewuyah abbiano la sensazione di trattenersi, di limitarsi, di costringersi a rilassarsi – e ciò li innervosisce e li stanca enormemente, a volte sembra addirittura intontirli, fino a renderli insopportabili. I più saggi tra loro rimediano a questo inconveniente dando il massimo nella loro professione, e liberando in qualche sport impegnativo quell’eventuale residuo di aggressività che ancora fosse rimasto dopo la giornata lavorativa. Dopo otto ore di tensione e altre due di kickboxing o di wushu, invece che sfiniti, rientrano a casa lucidi, equilibrati e in pace con il mondo. E allora sono davvero irresistibili.
Il bambino Wehewuyah.
Io, io, io: abituatevi, non c’è nulla da fare, i Wehewuyah sono così fin da piccoli e lo saranno per sempre. Non è vanità propriamente detta, è espressione irresistibile della loro enorme energia. Va temperata non con esortazioni alla modestia, o peggio ancora con gesti di insofferenza, ma semmai offrendo il più spesso possibile ai piccoli Wehewuyah occasioni per confrontarsi con gli altri. Indirizzateli a qualche sport competitivo, meglio ancora se di squadra: e mostrate di apprezzare in egual misura i risultati che ottengono e la loro cooperazione con i compagni. Aver fiducia in se stessi è e sarà per loro altrettanto importante quanto l’averne negli altri; a tale riguardo, sappiate essere un esempio anche voi, nel vostro modo di trattare gli amici: il rischio principale dei Wehewuyah è che la loro indiscutibile supremazia fisica e intellettuale li faccia sentire non solo esclusivi, ma esclusi. Allenateli alla cordialità, e magari anche a un senso di fraternità, se ne siete capaci. Contribuirete a formare un ottimo leader, e molta gente, senza saperlo, ve ne sarà grata.
Claviculae Angelorum:
Primeggiare sempre. Energia in eccesso. Trionfare in imprese ardue. Astuzia nel riconoscere le insidie. Perfetta conoscenza di sé. Talento artistico. Amore per la conoscenza. Protezione contro la collera.
Qualità di Vehuiah e ostacoli dall’energia “avversaria”.
Le qualità sviluppate da Vehuiah sono coraggio, valore,energia intensa, impulso a intraprendere saggiamente, forza di volontà e decisione; la facoltà di creare e sviluppare le cose più difficili. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Sémiaza e rappresenta la confusione e l’indeterminazione; cavalca l’improntitudine e la collera, rende gli uomini turbolenti; instilla irascibilità, sfiducia e intolleranza verso gli altri, la tendenza a lasciarsi prendere dai propri impulsi. Veuhiah contrasta dunque l’ira, la mancanza di riflessione prima dell’azione, la violenza, e le conseguenze che ne derivano.
Meditazione associata al Nome.
La meditazione associata a Vehuiah si chiama “viaggio nel tempo”. Secondo la Kabbalah, infatti, questo Nome fornisce lo strumento meditativo più efficace a chi vuole annullare i mali causati nel passato al fine di cancellare i loro effetti negativi sia dalla propria vita sia da quella degli altri.
Meditazione.
ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione:
per il potere di questo Nome accetto la verità spirituale che ci avverte che i problemi che incontriamo nella vita sono dovuti a nostre azioni passate. Risveglio nel mio cuore il rimorso per le precedenti azioni che hanno causato dolore. Concentrandomi su questo Nome sradico da ora i semi negativi precedentemente piantati e nel farlo trasformo ciò che è stato, rinnovo il mio presente e creo un futuro di appagamento e di gioia.
Esortazione angelica.
Vehuiah esorta a comprendere a cosa servono la sofferenza e l’amore, la preghiera e la gioia, l’insuccesso e il successo; a tendere alla Luce per comprendere il mistero del Mondo.
Giorni e orari di Vehuiah.
Se sei nato nei giorni di reggenza di questo angelo, Vehuiah è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 9 gennaio, 21 marzo, 3 giugno, 17 agosto, 29 ottobre; ed egli governa ogni giorno, come “angelo della missione”, le energie dalle h. 24.00 alle 24.20. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l’orario migliore in cui tutti lo possono invocare. La preghiera rivolta specificamente a Vehuiah è il versetto 4° del Salmo 3: Tu autem, Domine, protector meus es, gloria mea, et exaltans caput meum (Sal.3,4 – Ma sei tu, Signore, la mia difesa, tu mi concedi gloria e sollevi il mio capo).
SIMBOLOGIA OCCULTA.
Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.
A ciascuna delle 22 lettere ebraiche sono associati dei numeri, dunque ad esse possono venire associate anche corrispondenze con le relative simbologie dei 22 Arcani maggiori dei Tarocchi; questo può essere interessante per chi desidera interrogare questi simboli sul solo piano di vero interesse: quello cioè dell’introspezione psicologica. Mentre le lettere ebraiche si leggono da destra a sinistra, però, i corrispondenti Tarocchi vanno letti da sinistra a destra. In questo caso la radice (waw, hé, waw) del Nome risponde alla configurazione: “l’Innamorato – il Papa – l’Innamorato”. Da qui la riflessione che nasce dalle domande poste da questi arcani: chiede l’innamorato (l’unione, la vita emozionale; l’androgino divino, il libero arbitrio, la ricerca della Luce): in quali relazioni mi trovo coinvolto? Che scelte devo operare? Chiede il Papa (mediatore, ponte, ideale): cosa dice la Tradizione, la Legge? Cosa comunico, e con quali mezzi? Sto trasmettendo qualcosa a qualcuno? Ho un ideale? Chiede ancora l’innamorato: in quali relazioni mi trovo coinvolto? Che scelte devo operare?
CORI DI APPARTENENZA E ARCANGELI DI INFLUENZA.
Rimando infine al Coro e alle energie arcangeliche che dispensano influenze ai nati fra il 21 e il 25 marzo. L’angelo Vehuiah appartiene al Coro degli Angeli Serafini guidato dall’ Arcangelo Metatron. Questa decade in particolare (21-30 marzo) e il segno dell’Ariete nel suo complesso cadono entrambi sotto il severo ‘influsso dell’Arcangelo Kamael.
Con amorevolezza vi rinvio a tali entità angeliche: i nati in questi giorni sono invitati a consultarle, insieme a quella del loro Angelo Custode Vehuiah. Infatti anche le energie di questi Arcangeli sono al loro fianco. Infine bisogna ricordare che una specifica influenza sulla persona è esercitata anche dall’Angelo che aveva reggenza nell’orario della nascita.
Jeliel, angelo 2, dei nati fra il 26 e il 30 marzo.
Jeliel, o Yeliyel, o Yeliy’el, è il secondo Soffio e secondo raggio angelico nel Coro nettuniano degli Angeli Serafini guidato dall’Arcangelo Metatron, nel quale governa le energie di Urano. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dallo 5° al 10° dell’Ariete ed è l’Angelo Custode dei nati fra il 26 e il 30 marzo. I sei Angeli Custodi dell’Ariete, collettivamente, assicurano ai loro nati un’energia intensa e focosa, generoso entusiasmo e un acceso desiderio di rigenerazione.
Il nome di Jeliel significa “Dio caritatevole”.
Il dono dispensato da Jeliel è l’AMORE.
Questo Angelo rappresenta e concede il potere di concretizzare e consolidare qualunque realtà: accorda la solidità, la tranquillità, la fecondità (vegetale, animale, umana, lavorativa), la fedeltà del coniuge, obbedienza e lealtà da parte dei figli e dei sottoposti. Fa vincere i processi e annulla i litigi, le dispute, separazioni e divorzi. Assicura il successo in attività di costruzione e produttive. Aiuta anche a far carriera nelle amministrazioni, nella diplomazia e nelle forze dell’ordine. Dice Haziel che Jeliel rivela i misteri connessi alle realizzazioni materiali, a tutto ciò che si concreta in termini tangibili. Invocandolo la persona otterrà eccezionali intuizioni (…), avrà la possibilità di conoscere le virtù delle piante, le peculiarità dei minerali, e di presentirne la filiazione cosmica (e i suoi presentimenti si riveleranno esatti). Le sarà dato di saper scegliere il materiale più idoneo a questa o quella costruzione (…). L’influenza di questo Angelo permette di costruire il mondo terreno in conformità alle regole dei mondi superiori. La persona sa (o è in grado di apprendere, attraverso la preghiera rivolta a Jeliel) ciò che è opportuno fare o ‘che è maturo’: pronto, cioè, a pervenire allo stadio delle realizzazioni pratiche. Di qui la sua possibilità di bussare alla porta giusta: quella, appunto, che si trova in attesa di essere varcata. Per tale motivo l’elevazione spirituale, così come l’ascesa sociale, per i suoi protetti potrà essere molto rapida.
Jeliel secondo Sibaldi.
Yeliy’el yod-lamed-yod
«Io mi elevo tra coloro che vedono»
Tra i molti significati del Nome di quest’Angelo vi è anche «io mi faccio udire [in ebraico yel] nell’assemblea riunita [liyi]», ed è un altro modo di descrivere il compito che gli Yeliy’el si sono dati nel venire al mondo, cioè essere il capo, in tutti sensi. A cominciare addirittura dal proprio corpo: gli Yeliy’el, in sé e per sé, sono soprattutto la propria testa, si identificano cioè con la propria intelligenza e considerano perciò le emozioni, gli istinti e i sentimenti, se non proprio come inevitabili inconvenienti, perlomeno come un insieme di fattori ai quali imporre dall’alto una ferrea guida. Troviamo così, tra i filosofi Yeliy’el, Cartesio, con il suo yelielianissimo motto «Cogito ergo sum», per cui l’essere e il pensare divengono, appunto, tutt’uno. In secondo luogo, gli Yeliy’el sono capi nei loro rapporti con gli altri, nell’accezione più tradizionale del termine: troppo razionali, metodici, cauti, lucidi, logici, per non far accorgere coloro che li circondano di quanto sia utile poter contare su uno Yeliy’el, su una testa pensante che sappia parlare chiarissimo e illuminare in ogni circostanza ciò che non tutte le altre teste sanno vedere. E come potrebbero, gli altri, non riconoscere autorità a un individuo simile? Diverrà il leader, e non per ambizione (l’ambizione è una smania emotiva, e gli Yeliy’el non se ne lasciano certo dominare) ma perché semplicemente è giusto e ragionevole che sia così. Non per nulla, in letteratura fu Yeliy’el Paul Verlaine, acclamato «principe dei poeti» della sua epoca, che gioiva nell’elencare anche in versi le norme che a suo parere andavano ragionevolmente rispettate per scrivere come si deve. In terzo luogo, infine, l’intelligenza degli Yeliy’el non potrà che guardare dall’alto in basso i modi in cui vive l’altra gente, più o meno smarrita sempre nelle foschie emotivo-sentimental-istintuali. Inutile nascondere l’evidenza: l’umanità si divide nettamente in esseri superiori e in esseri inferiori, e ogni Yeliy’el sa perfettamente, e senza la benché minima vanità, di essere tra i primi; dovrà dunque comportarsi di conseguenza. La sua casa, le sue abitudini, le sue aspirazioni, i suoi gusti dovranno essere diversi e più raffinati di quelli della maggioranza: tutto ciò che è suo avrà i tratti dell’esclusività, dal linguaggio, agli abiti, alle tendenze sessuali. E solo quando avrà ottemperato a queste sue esigenze da ruling class, si sentirà perfettamente realizzato. Un illustre, grande esempio di tale finezza lo diede la Yeliy’el santa Teresa d’Avila, che per decenni analizzò con razionalità estrema nientemeno che il processo e i massimi gradi del più aristocratico dei piaceri, l’estasi – con la dovuta attenzione anche per le sue implicazioni erotiche, naturalmente preziosissime ed estremamente originali. Nella nostra vita quotidiana, oltre che mistici, filosofi, poeti, gli Yeliy’el potranno ritrovarsi a loro agio nell’insegnamento (meglio se negli ordini di scuola superiori), o ai vertici di qualche organizzazione, o a capo di aziende (meglio se connesse con la tecnologia o la cultura): presidenti, certo, più che manager; o anche pianificatori, architetti e ingegneri, specialmente nell’edilizia civile; oppure, in caso di personalità particolarmente estroverse e disinvolte, eccelleranno in qualche movimento popolare o nella gerarchia religiosa, sospinti sempre più in alto dall’ammirazione e dalla fiducia dei più. Ma negli Yeliy’el il primato della testa può anche implicare qualche aspetto burrascoso. A forza di ricondurre tutto alla sfera dell’intelligenza, avviene infatti che il loro animo, e soprattutto il corpo, avvertano una nostalgia, anche angosciosa talvolta, delle emozioni forti. Buona parte degli Yeliy’el sanno tenersi saldi al di qua di queste ultime, ben arroccati nel proprio realismo, da un lato, e anche nel timore del ridicolo, dall’altro. Ma molti non resistono alla tentazione, e si cercano passatempi spericolati (dall’alpinismo estremo ai rally nel deserto), oppure esplorano qualche perversione, oppure, nel peggiore dei casi, dopo essersi troppo a lungo limitati, precipitano in qualche tempestosa zona d’ombra da cui si sentono attratti come da un vortice. Fu per esempio il caso del celebre scrittore russo Nikolaj Gogol’, che in una crisi mistica si abbandonò all’anoressia e ne morì; o di Van Gogh, che prima di suicidarsi si amputò un orecchio: disperato gesto yelieliano, ingiuria al corpo e al tempo stesso duello tra la sofferenza fisica e la mente che la contempla gelida, feroce, mentre se la infligge. E non si conosce la data esatta di nascita di quel padre della Chiesa, Origene, celebre oratore alessandrino, che attorno al 330 si evirò perché l’istinto non turbasse più la sua saggezza: ma sarei pronto a scommettere che venne al mondo anche lui verso la fine di marzo. È buona regola, per gli Yeliy’el, saper compensare il predominio della razionalità prima che si profili il rischio di simili eccessi. Più saggio fu, tra i nati in questi giorni, Goya: in tante sue opere seppe rendere omaggio a quei demoni che, diceva, «si destano non appena la ragione prende sonno»; li affrontò, li studiò, li raffigurò nei dettagli, esplorando le ombre della propria personalità come si esplora una miniera: la sua lucidità ne usciva, ogni volta, ritemprata, riequilibrata, e sempre più coraggiosa.
Il bambino Yeliy’el
Sono intellettuali fin da bambini: vi spiazzano non tanto con le domande, ma con le risposte meditate e precise che sanno darvi, oltre che per l’attenzione con la quale ascoltano, osservano e – chiarissimamente! – elaborano tra sé e sé opinioni su ciò che dite e fate, non sempre lusinghiere per voi. Per vostra fortuna hanno anche molta pazienza, per lo più. A volte si direbbero addirittura troppo saggi, quasi senili: così poco aggressivi, così pensosi… Leggono e disegnano per troppe ore. I giochi consueti li annoiano. E certi giorni non è escluso che vi sembri di avere non dei bambini, ma dei piccoli ET, collegati in certi loro modi segreti con il lontanissimo pianeta d’origine. Non è del tutto sbagliato; in ogni caso, non forzateli a comportarsi diversamente, a scatenarsi ogni tanto e altre cose del genere. Vi disprezzerebbero, o si sentirebbero incompresi: e non che a loro importi molto, sanno benissimo di poter farsi capire altrove; è solo per voi che a loro può dispiacere: siete sulla terra da tanti anni più di loro, e avete fatto così pochi progressi!
Claviculae Angelorum:
Preminenza dell’intelletto. Saper persuadere un’assemblea. Dominare gli istinti e gli inferiori. Desiderio di verità. Originalità.
Qualità di Jeliel e ostacoli dall’energia “avversaria”.
Le qualità sviluppate da Jeliel sono: amore universale, amore per i bambini e per il prossimo, bontà d’animo, carattere socievole, aperto e leale; fedeltà, modi affidabili e gentili, senso positivo della gerarchia, rispetto, verità. Dona pace, gioia di vivere, prontezza di spirito e vivacità di pensiero, idee utili e concrete, capacità di seduzione, forte carica erotica, facoltà di amare ed essere amati. Concede ascendente sui potenti, obbedienza, attitudine a tutte le cose che riguardano l’ordine e la giustizia; influenza sulla riproduzione di tutto quello che esiste nel regno animale. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Aratak e rappresenta l’indifferenza. Domina su tutto ciò che può nuocere agli esseri animati, induce gli individui alla noncuranza verso i loro partner, provoca divisione nelle coppie trascinandole a venir meno alla lealtà reciproca. Causa eccessi di orgoglio, grettezza, narcisismo, infedeltà, egoismo, aridità, avarizia; perdurare del celibato e solitudine, licenziosità.
Meditazione associata al Nome.
La meditazione associata a Jeliel si chiama “ritrovare le scintille”. Secondo la Kabbalah, infatti, la vibrazione di queste lettere consente di ritrovare scintille di Luce spirituale e rivitalizzare le nostre energie quando ci sentiamo bloccati e percepiamo che la nostra vitalità si sta esaurendo.
Meditazione.
Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione:
per il potere di questo Nome, frammenti di Luce vengono sottratti alle entità distruttive che dimorano in me. La loro forza viene interrotta e l’energia divina torna a colmarmi. La vita torna a splendere con crescente intensità mentre, giorno dopo giorno, miliardi di scintille fanno ritorno alla mia anima, che è la loro vera sorgente
Esortazione angelica.
Jeliel esorta a invocarlo per ottenere guida a trovare dentro di sè la chiarezza di visione e risorse per il proprio lavoro.
Giorni e orari di Jeliel.
Se sei nato nei giorni di reggenza di questo angelo, Jeliel è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 10 gennaio, 22 marzo, 4 giugno, 18 agosto, 30 ottobre; ed egli governa ogni giorno, come “angelo della missione”, le energie dalle h. 00.20 alle 00.40. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l’orario migliore in cui tutti lo possono invocare. La preghiera rivolta specificamente a Jeliel è il versetto “Tu autem, Domine, ne elongaveris, fortitudo mea: ad adiuvandum me festina” (Sal. 22,20 – Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza: accorri presto in mio aiuto).
SIMBOLOGIA OCCULTA.
Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.
A ciascuna delle 22 lettere ebraiche sono associati dei numeri, dunque ad esse possono venire associate anche corrispondenze con le relative simbologie dei 22 Arcani maggiori dei Tarocchi; questo può essere interessante per chi desidera interrogare questi simboli sul solo piano di vero interesse: quello cioè dell’introspezione psicologica. Mentre le lettere ebraiche si leggono da destra a sinistra, però, i corrispondenti Tarocchi vanno letti da sinistra a destra. In questo caso, la radice (Yod Lamed Yod) del Nome risponde alla configurazione: “La Ruota – l’Appeso – la Ruota”.
Da qui la riflessione che nasce dalle domande poste da questi arcani: chiede la Ruota (il ciclo del mutamento): che ciclo si è concluso, cosa devo cambiare? quali sono le mie opportunità? Cosa mi aiuta? cosa sto ripetendo? Quale enigma emozionale mi blocca? Chiede l’Appeso (sosta, meditazione, dono di se stessi) che cosa devo sacrificare? Che cosa devo dare di me stesso? Cosa devo fermare? Cosa devo ascoltare? Verso quale punto devo rivolgere la mia ricerca interiore? Chiede ancora la Ruota: che ciclo si è concluso, cosa devo cambiare? Quali sono le mie opportunità? Cosa mi aiuta? Cosa sto ripetendo? Quale enigma emozionale mi blocca?
L’opportunità sottintesa da questa combinazione è l’occasione di un profondo mutamento che, attingendo dal nostro inconscio, può produrre la rapida nascita di un uomo nuovo, in perfetta e consapevole armonia con le leggi universali.
CORI DI APPARTENENZA E ARCANGELI DI INFLUENZA.
Rimando infine al Coro e alle energie arcangeliche che dispensano influenze ai nati fra il 26 e il 30 marzo. L’angelo Jeliel appartiene al Coro degli Angeli Serafini guidato dall’ Arcangelo Metatron. Questa decade in particolare (21-30 marzo) e il segno dell’Ariete nel suo complesso cadono entrambi sotto il severo ‘influsso dell’Arcangelo Kamael.
Con amorevolezza vi rinvio a tali entità angeliche: i nati in questi giorni sono invitati a consultarle, insieme a quella del loro Angelo Custode Jeliel. Infatti anche le energie di questi Arcangeli sono al loro fianco. Infine bisogna ricordare che una specifica influenza sulla persona è esercitata anche dall’Angelo che aveva reggenza nell’orario della nascita.
Sitael, angelo 3, dei nati fra il 31 marzo e il 4 aprile.
Sitel o Seytel, o Seyita’el, è il terzo Soffio e terzo raggio angelico nel Coro nettuniano degli Angeli Serafini guidato dall’Arcangelo Metatron; qui governa le gioiose energie di Giove. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dal 10° al 15° dell’Ariete ed è l’Angelo Custode dei nati fra il 31 marzo e il 4 aprile.
I sei Angeli Custodi dell’Ariete, collettivamente, assicurano ai loro nati un’energia intensa e focosa, generoso entusiasmo e un acceso desiderio di rigenerazione.
Il nome di Seytel significa “Dio speranza di ogni creatura”
Il dono dispensato da Seytel è la COSTRUZIONE.
Dice Haziel che Seytel emana all’indirizzo degli umani la sintesi della conoscenza sull’origine del mondo e concede rivelazioni riguardanti le Leggi che regolano l’Universo. Inoltre consente, da parte delle persone, l’esteriorizzazione di quegli elementi di “pianificazione cosmica” che essi sono riusciti a comprendere. Questo Angelo rappresenta e regola il potere di espansione conferendo il dono di far fruttare ogni cosa. I suoi protetti possono essere portatori di idee “futuriste”: semplici, chiare, apportatrici di entusiasmo e di fiducia nell’avvenire; potranno diventare facilmente promotori di iniziative, che siano imprese od organizzazioni volte a realizzare un domani migliore. Saranno persone potenzialmente dotate di vero idealismo e, insieme, del senso pratico necessario a concretizzare i loro sogni. L’influenza di Seytel dona grande altruismo e generosità verso il prossimo, grande amore per la verità in ogni sua forma e in ogni campo.
Seytel secondo Sibaldi.
Seyita’el samekh-yod-teth
«Io guardo da dietro lo scudo, dal muro della fortezza»
Per chi crede ingenuamente nella reincarnazione, lo strano carattere dei Seyita’el ha una sola spiegazione possibile: sono anime rimaste legate a una loro vita di soldati risalente ad almeno duecento, trecento anni fa, e nella nostra epoca si sentono a disagio. Avrebbero bisogno di disciplina ferrea, di ordini precisi a cui obbedire immancabilmente, di capi autentici da ammirare, e soprattutto di battaglie, di onesti scontri, possibilmente all’arma bianca, in cui resti spazio soltanto per il valore personale: e ai giorni nostri non è facile trovare qualcosa del genere. Perciò sono spesso così cinici e chiusi in se stessi, delusi da tutto o quasi; ed è anche come se si crogiolassero nelle loro delusioni. Perciò possono detestare le autorità: perché le trovano troppo poco autorevoli! E soffrono acutamente quando qualche loro amico manca alla parola data (non si usava, ai tempi loro!). E in un modo o nell’altro finiscono sempre per trovarsi una professione o un hobby che abbia a che fare con il metallo: chirurghi, dentisti, parrucchieri, collezionisti d’armi, appassionati d’arti marziali… o con apparecchi che colgano un bersaglio: macchine fotografiche, microscopi, strumentazioni nucleari e via dicendo. Come se davvero dovessero esprimere, anche negli oggetti d’uso, una profonda nostalgia per la guerra. Oppure realizzano, nel lavoro, il connubio tra obbedienza e voglia di trovarsi in prima linea: e diventano politici al tempo stesso tradizionalisti e audaci (Bismarck, De Gasperi), o sindacalisti, o funzionari dell’ufficio reclami, o vigili, poliziotti, o sacerdoti. Ma i loro superiori facciano attenzione: un Seyita’el è sempre pronto a piantarli in asso sbattendo la porta, se noterà in loro troppe incertezze, o pigrizie, o un’eccessiva tendenza al compromesso. E magari prima di andarsene farà anche qualche memorabile scenata, con il tono magari del Seyita’el Emile Zola, quando scriveva J’accuse! C’entri o no qualche loro antico karma militare, sta di fatto che i Seyita’el non sanno proprio rassegnarsi alle delicate mezze misure della normale vita civile. Alle mezze obbedienze preferiscono la totale anarchia, il disadattamento addirittura, o l’eroismo: Seyita’el, tra gli attori, sono Toshiro Mifune, con tutti i suoi ruoli di magnifico samurai sempre fuori dal coro; e altri tipici outsider, come il Marlon Brando di Fronte del porto, Bulli e pupe, Gli Ammutinati del Bounty; e Bette Davis, Eddie Murphy, il Gregory Peck di Moby Dick, lo Spencer Tracy di Capitani coraggiosi e de Il vecchio e il mare. Tra i letterati, Giacomo Casanova è un Seyita’el celeberrimo, con i suoi tanti talenti e le ancor più numerose tecniche d’assedio (di fortezze femminili, nel suo caso) eppure senza mai fissa dimora, come se gli fosse seccato mettere radici nel suo tempo. Mentre quando in loro prevale la tenerezza, o un barlume di speranza di felicità, corrono fatalmente il rischio di assomigliare alla Sirenetta di Andersen – un Seyita’el anche lui – che sulla terraferma si sentiva talmente disadattata da morirne. Che fare? La maggior parte dei Seyita’el decide di elevare contro la vita quotidiana una barriera fatta di riserbo e di una discreta dose di bugie protettive. Si trincerano, tengono per sé soli le loro segrete nostalgie di un altrove più bello, e – come agenti segreti in missione – imparano a non dire nemmeno una parola che lasci intuire i loro stati d’animo. Altri si ribellano e cercano di produrre loro stessi quel che non trovano intorno: vogliono diventare capi, almeno in una cerchia ristretta (nella famiglia, per esempio, o in ufficio) per imporre lì i loro valori. Ma i risultati sono quasi sempre scoraggianti: Bismarck vi riuscì come cancelliere di Prussia, perché aveva sopra di sé il Kaiser, e dalla sua le tradizioni e le aspirazioni di un intero popolo storicamente nostalgico, ma i Seyita’el che tentano di diventare leader faidate reggono difficilmente alla tensione, reagiscono malissimo a qualsiasi critica, non hanno la pazienza di indagare i sentimenti altrui, di chiedere ascolto, di adattarsi alle necessità e ai limiti di chi dovrebbe obbedirli. Una linea di condotta molto più saggia e produttiva consisterebbe nell’andare semplicemente fieri della propria diversità: nel guardare più attentamente quel mondo contemporaneo a cui si sentono estranei, e nel dire ciò che vi vedono, mettendo a disposizione di tutti il loro punto di vista così originale. Ogni gruppo umano, piccolo o grande, ha talmente bisogno di punti di vista differenti da quelli soliti! Un Seyita’el è nato apposta per criticare, per scalfire certezze collettive, per richiamare arditamente l’attenzione su valori fondamentali che si sono persi con il tempo: se avrà il coraggio e la generosità di farlo, qualunque sia la sua posizione nella società attuale, non potrà che essere utile a molti, e ne avrà in cambio la loro stima e gratitudine.
Il bambino Seyita’el
L’infanzia è il periodo più entusiasmante della loro vita: da bambini possono sognare indisturbati, immaginarsi come intrepidi combattenti, estasiarsi davanti ai film in costume, gioire per ore intere giocando ai soldatini o a War Games con eserciti antichi. E con i coetanei formeranno certamente bande eroiche, avranno memorabili contese, duelli cavallereschi. Non si commetta l’errore di negare al piccolo Seyita’el le armi-giocattolo! Potrebbe volersi risarcire usandone di vere, da adulto. Lo si lasci fantasticare e recitare le sue fantasie: presto il mondo raffredderà quei suoi ardori, e molto, nella sua vita adulta, dipenderà dalla forza che i suoi miti infantili avranno saputo educare in lui. Sarà un individuo tanto più felice quanto più saprà tener vivo in sé quel bambino sognante. Quanto al rendimento scolastico, ci si prepari pure a rassegnarsi: due insegnanti su tre gli sembreranno irrimediabilmente mediocri – capi incapaci, secondo i suoi criteri di giudizio – e non esiterà a punirli, mostrandosi mediocre a sua volta, per sdegno.
Claviculae Angelorum:
Ricordi di vite anteriori. Battersi in prima linea. Fedeltà alla parola data. Obbedienza ai capi.
Qualità di Seytel e ostacoli dall’energia “avversaria”.
Le qualità sviluppate da Seyel sono grande fedeltà alla parola data, spirito di servizio e gentilezza, forte tendenza all’altruismo e alla magnanimità nei confronti del prossimo. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Kimrah e rappresenta l’avidità e gli eccessi, istiga l’uomo alla menzogna, all’ingratitudine e all’ipocrisia.
Meditazione associata al Nome: fare miracoli.
La meditazione associata a Sytael si chiama “fare miracoli”. Secondo la Kabbalah prima che l’immensa forza di questo Nome sia liberata è necessario giungere a un determinato livello di comprensione: perché la semplice nozione di un fatto non rappresenta di per sè un potere. Il potere si acquisisce con un sapere più ampio e profondo: conoscenza e saggezza sono potere. Un miracoloso cambiamento nel nostro carattere può condurre a un’energia capace di produrre cambiamenti tali, nella nostra vita, da essere veri e propri ‘miracoli’.
Meditazione.
Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome senza pensare ad altro, respira e lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione:
per il potere di questo Nome mi libero dall’egoismo, dell’invidia, della paura e dell’autocommiserazione. Rifiutando queste tentazioni parassitarie il potere del Nome mi pervade e attiva la mia capacità di cambiamento.
Esortazione angelica.
Sytael esorta a riconoscere nei propri nemici i difetti di cui noi stessi ci dobbiamo liberare e a condividere con il mondo le verità positive che abbiamo raggiunto.
Giorni e orari di Sytael.
Se sei nato nei giorni di reggenza di questo angelo, Sytael è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 11 gennaio, 23 marzo, 5 giugno, 19 agosto, 31 ottobre; ed egli governa ogni giorno, come “angelo della missione”, le energie dalle h. 00.40 alle 1.00. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l’orario migliore in cui tutti lo possono invocare. La preghiera rivolta specificamente a Sytael è il versetto «Refugium meum et fortitudo mea, Deus meus, sperabo in eum» (di’ al Signore: Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio, in cui confido- Sal. 90,2). Il salmo 90, da cui è tratta questa preghiera, è tradizionalmente un salmo di protezione; recitarlo mette al riparo dalle situazioni di pericolo; Fra i doni che concede Seytal, infatti, c’è la specifica protezione da ogni forma di negatività e di attacco fisico o psichico.
SIMBOLOGIA OCCULTA.
Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.
A ciascuna delle 22 lettere ebraiche sono associati dei numeri, dunque ad esse possono venire associate anche corrispondenze con le relative simbologie dei 22 Arcani maggiori dei Tarocchi; questo può essere interessante per chi desidera interrogare questi simboli sul solo piano di vero interesse: quello cioè dell’introspezione psicologica. Mentre le lettere ebraiche si leggono da destra a sinistra, però, i corrispondenti Tarocchi vanno letti da sinistra a destra. In questo caso, la radice samekh-yod-teth del Nome risponde alla configurazione: il Diavolo – la Ruota – l’Eremita.
Da qui la riflessione che nasce dalle domande poste da questi arcani: chiede il Diavolo (le forze dell’inconscio, passione, creatività): a chi sono legato? Qual è la mia tentazione? Qual è la mia capacità creativa? Quali sono i miei valori negativi, e quali le pulsioni che ho a mia disposizione? Chiede la Ruota (principio, metà o fine di un ciclo): che cosa deve cambiare, quale ciclo si è concluso nella mia vita? Quali sono le mie opportunità? Che cosa mi aiuta? Che cosa sto ripetendo? Quale enigma emozionale mi impedisce di andare avanti?
Chiede l’Eremita (crisi, transito, saggezza): che cosa dice la mia saggezza? Da cosa mi sto allontanando? In che cosa sono in crisi? A cosa devo rinunciare?
CORI DI APPARTENENZA E ARCANGELI DI INFLUENZA.
Rimando infine al Coro e alle energie arcangeliche che dispensano influenze ai nati fra il 31 marzo al 4 aprile. L’angelo Sytael appartiene al Coro degli Angeli Serafini guidato dall‘Arcangelo Metatron. Questa decade in particolare (31 marzo-9 aprile) e il segno dell’Ariete nel suo complesso cadono entrambi sotto il severo ‘influsso dell’Arcangelo Kamael. Con amorevolezza vi rinvio a tali entità angeliche: i nati in questi giorni sono invitati a consultarle, insieme a quella del loro Angelo Custode Sytael. Infatti anche le energie di questi Arcangeli sono al loro fianco. Infine bisogna ricordare che una specifica influenza sulla persona è esercitata anche dall’Angelo che aveva reggenza nell’orario della nascita.
Elemiah, angelo 4, dei nati fra il 5 e il 9 aprile.
Elemiah, o Elamiyah, è il quarto Soffio e quarto raggio angelico nel Coro nettuniano degli Angeli Serafini guidato dall’Arcangelo Metatron, nel quale governa le energie di Marte. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dal 15° al 20° dell’Ariete ed è l’Angelo Custode dei nati fra il 5 e il 9 aprile. I sei Angeli Custodi dell’Ariete, collettivamente, assicurano ai loro nati un’energia intensa e focosa, generoso entusiasmo e un acceso desiderio di rigenerazione.
Il nome di Elemiah significa “Dio invisibile”.
Il dono dispensato da Elemiah è il POTERE.
Elemiah concede viaggi utili e appassionanti (specie per mare o riguardanti il mare), successo negli affari e nelle attività industriali: la sua energia assicura il successo in qualunque attività professionale e l’ottenimento di posti di responsabilità e di comando. Favorisce inoltre la riconciliazione di avversari di vecchia data. Dice Haziel che questo Angelo ha il compito di illuminare e promuovere l’integrazione dei nostri sentimenti alle nostre aspirazioni superiori: guida dunque ad associare in modo armonioso sentimenti e spiritualità. Beninteso, purché si elevino a lui le proprie preghiere, Elemiah rivela come integrare l’elemento Acqua all’elemento Fuoco, indicando le strade migliori per conquistare i più ardui equilibri. Grazie alla sua influenza le persone amate ci insegneranno cose preziose. Concede ai suoi protetti il potere di riparazione; il ristabilimento dei ritmi e delle regole di funzionamento di ogni cosa e anche l’ottenimento di ricchezze. Viene dunque invocato per evitare gli eccessi, e per porre termine a un periodo difficile per iniziare un nuovo corso più felice. Sappiamo che secondo la Kabbalah tre versetti dell’Esodo (ciascuno composto da 72 lettere), celano il codice dei 72 Nomi di Dio; e precisamente i versetti 19, 20 e 21 del capitolo 14. Riguardo al trigramma-radice di questo Nome, ayin-lamed-mem, la terza lettera (mem) proviene dal nome di Mosé: è la prima che forma il nome del profeta e ha un rapporto con l’acqua, i sentimenti, le emozioni e la madre divina; il nome dell’angelo evoca una madre che protegge il suo bambino e rappresenta anche uno sguardo rivolto verso l’anima (interpr. Muller-Baudat).
Elemiah secondo Sibaldi.
‘Elamiyah ayin-lamed-mem
«Al di là delle nebbie, io amplio gli orizzonti»
I protetti di questo Serafino sono autentici veggenti: percepiscono sia il futuro, sia ciò che si nasconde nell’animo del loro prossimo. Se adoperassero questa dote ne ricaverebbero – e farebbero ricavare a chi li ascoltasse – vantaggi enormi, tanto più che la loro specialità consiste nel cogliere gli aspetti più concreti, economici, finanziari, di tutto ciò che la loro veggenza può esplorare. Ma non sono bravi a farsi prendere sul serio: sia perché temono un po’questi loro poteri, sia perché temono ancor di più il successo, il clamore che susciterebbero. Sarebbe così bello e così facile, per loro: occorrerebbe soltanto che si lasciassero guidare dallo stupore (una sottile sensazione di sorpresa è, nella loro mente, il semplicissimo segnale di quel radar portentoso di cui dispongono dalla nascita), e che aggiungessero allo stupore un minimo di curiosità, di tensione dello sguardo interiore verso qualche obiettivo ben definito. In un attimo avrebbero tutte le risposte, ma non vogliono: sono persuasi che, venendosi a trovare sotto gli occhi di molti, non potrebbero più tener nascosto qualche aspetto della loro personalità, che a loro sembra troppo umile, insignificante. Peggio ancora: ipercritici come sono verso se stessi (è questo infatti il loro maggior difetto), credono che una qualsiasi dose di successo darebbe loro alla testa, e farebbe emergere in loro difetti assolutamente odiosi, come presunzione, insolenza, volgarità. Così, la maggioranza degli ‘Elamiyah preferisce tarparsi, e va incontro alla dura sorte di chi rifiuta i propri doni straordinari: invece di fornire alimento a qualche altra qualità più ordinaria, quei loro doni inutilizzati diventano così un impaccio, e frenano, come spiriti indignati, ogni altra carriera, costringendoli a esistenze mediocri, a ruoli sempre di secondo piano. Non è un problema da poco, e quanto più lo si analizza, tanto più appare complicato. L’umiltà degli ‘Elamiyah ha infatti ragioni anche più profonde, e inscindibili da quegli stessi loro poteri: si esprime in essa il caratteristico fastidio che gli individui spiritualmente più evoluti provano nei riguardi di tutto ciò che è egocentrico. La loro veggenza deriva da una superiore altezza del loro animo, la loro attenzione per il concreto è una forma d’amore per la realtà terrena che vorrebbero migliorare, rendere più facile, per il bene altrui: e né in alto, dentro di loro, né in basso, nella dedizione agli altri, rimane alcuno spazio per il compiacimento o anche soltanto per il benessere di quello stretto involucro che è, per loro, il loro io. Non per nulla la tradizione vuole che proprio il 7 aprile cada il Natale di Buddha. Che fare, dunque? Molti ‘Elamiyah non riescono, per così dire, a essere all’altezza della loro stessa altezza: e vivono cupi, frustrati, lacerati tra il loro desiderio di nascondersi e la consapevolezza di valere molto, tra il disprezzo che avvertono verso se stessi e il sogno della stima che sentono di meritare. In queste condizioni, quando la loro veggenza preme e vuol emergere, si dedicano magari al gioco d’azzardo: e la loro invincibile repulsione per il trionfo non tarda a far loro scialacquare tutto quello che sono riusciti a vincere. Oppure la deviano verso le percezioni alterate dalle droghe – nel tentativo, si direbbe, più di placarla, o di giustificarla in qualche modo, che non di acutizzarla – e invece che veggenze hanno visioni: così fu per esempio per Baudelaire, disperatissimo, con l’oppio e l’hashish. Altri trovano il modo di utilizzare le loro doti attraverso le arti visive: invece che nella veggenza, si impratichiscono nell’uso di obiettivi fotografici o cinematografici, e alcuni riescono a convogliare qui, davvero, il loro talento. Così fu per il documentarista Folco Quilici, o per Francis Ford Coppola – che, tra l’altro, raffigurò ottimamente un tipico elamiano nel suo film Tucker, storia di un inventore e industriale ispirato, troppo profetico perché la sua epoca lo potesse ascoltare. Anche il giornalismo può piacere agli ‘Elamiyah, purché naturalmente lo intendano come un modo di vedere più in là, di cercare nelle e dietro le notizie ciò che i loro colleghi non sono ancora arrivati a scoprire: fu così per il più famoso giornalista della storia, l’‘Elamiyah Joseph Pulitzer; in Italia, è un ‘Elamiyah Eugenio Scalfari. Ma i più felici sono quelli che, senza cercare compromessi con il loro presente e con le aspirazioni della stragrande maggioranza dei loro simili, si dedicano senz’altro all’altruismo: ad aiutare cioè i più deboli a vedere oltre le loro attuali condizioni. Ne ho conosciuto uno, anni fa, e lo ricordo con ammirazione: era un istruttore di giovani affetti dalla sindrome di Down. Insegnava loro a non temere il mondo delle persone sane – che era un aldilà, per loro – e faceva molti piccoli miracoli: i suoi allievi imparavano a scegliersi una professione, a non scoraggiarsi dei propri errori, a muoversi con sicurezza per le strade, ed era come se qualcuno avesse insegnato a noi che cosa fare per trarre il massimo vantaggio da ciò che dovrà accaderci tra dieci o quindici anni. Soprattutto, li educava a non aver paura dei propri successi e, come sapevano gli antichi, «il medico cura sempre se stesso»: proprio aiutando altri a non intimidirsi di sé, il mio amico istruttore cessava di ritenere il suo io un luogo troppo stretto; era amato, popolare tra i colleghi e i genitori degli allievi, e irradiava un’armonia di cui raramente ho visto l’eguale.
Il bambino Seyita’el
L’infanzia è il periodo più entusiasmante della loro vita: da bambini possono sognare indisturbati, immaginarsi come intrepidi combattenti, estasiarsi davanti ai film in costume, gioire per ore intere giocando ai soldatini o a War Games con eserciti antichi. E con i coetanei formeranno certamente bande eroiche, avranno memorabili contese, duelli cavallereschi. Non si commetta l’errore di negare al piccolo Seyita’el le armi-giocattolo! Potrebbe volersi risarcire usandone di vere, da adulto. Lo si lasci fantasticare e recitare le sue fantasie: presto il mondo raffredderà quei suoi ardori, e molto, nella sua vita adulta, dipenderà dalla forza che i suoi miti infantili avranno saputo educare in lui. Sarà un individuo tanto più felice quanto più saprà tener vivo in sé quel bambino sognante. Quanto al rendimento scolastico, ci si prepari pure a rassegnarsi: due insegnanti su tre gli sembreranno irrimediabilmente mediocri – capi incapaci, secondo i suoi criteri di giudizio – e non esiterà a punirli, mostrandosi mediocre a sua volta, per sdegno.
Claviculae Angelorum:
Scoprire le capacità pratiche altrui. Scorgere e correggere gli errori. Protezione contro il timore della propria riuscita. Viaggiare e vedere lontano. Saggezza nella scelta dei soci. Umiltà.
Qualità di Elemiah e ostacoli dall’energia “avversaria”.
Le qualità sviluppate da Elemiah sono entusiasmo, combattività, padronanza del proprio destino. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Samane e rappresenta i fallimenti nella professione, o nel cattivo andamento di viaggi che si risolvono male. Domina la cattiva educazione e causa distruzione sistematica di tutto ciò che non funziona bene, sdegno. Ispira ogni sorta di scoperte (sia geografiche sia scientifiche) che sono potenzialmente dannose per l’umanità, creando inoltre ostacoli a qualsiasi impresa di carattere positivo.
Meditazione associata al Nome: eliminare i pensieri negativi.
La meditazione associata a Elemiah si chiama “eliminare i pensieri negativi”. Secondo la Kabbalah i pensieri non scaturiscono affatto dalla parte fisica del cervello: esistono 2 fonti da cui scaturiscono i pensieri, come due grandi stazioni cosmiche: le Forze rispettivamente della Luce e dell’Oscurità, e da qui vengono captati dalla nostra mente, che li trasmette come una radio. La vibrazione di queste lettere consente di spostare la nostra connessione dalla Forza oscura dell’Ego (che alimenta anche tutte le nostre angosce e paure), a quella della Luce, che infonde fiducia e capacità di discernere quali sono le direzioni che dobbiamo prendere per un vero appagamento, che non sia solo apparente e materiale. Invertire la polarità di questi pensieri apre il cuore: ma, mentre ci allontana dall’indifferenza, nello stesso tempo mette a tacere le ansie inutili mettendoci al riparo dalla paura.
Meditazione.
Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione:
per il potere di questo Nome, sto estinguendo i pensieri distruttivi che provengono dall’Ego. Si crea un varco da cui fluisce un dolce splendore di Luce spirituale, che colma il mio cuore e la mia mente.
Esortazione angelica.
Elemiah esorta a cercare in sé l’equilibrio capace di mettere la nostra capacità di ottenere potere al servizio dei veri bisogni della nostra anima, e dunque del mondo: perché noi e il mondo siamo la stessa cosa; un solo organismo.
Giorni e orari di Elemiah.
Se sei nato nei giorni di reggenza di questo angelo, Elemiah è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 12 gennaio, 24 marzo, 6 giugno, 20 agosto, 1 novembre; ed egli governa ogni giorno, come “angelo della missione”, le energie dalle h. 1.00 alle 1.20. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l’orario migliore in cui tutti lo possono invocare. La preghiera rivolta specificamente a Elemiah è il 5° versetto del Salmo 6: Convertere, Domine, et eripe animam meam; salvum me fac propter misericordiam tuam (Sal.6,5 – Volgiti, Signore, a liberarmi, salvami per la tua misericordia).
SIMBOLOGIA OCCULTA.
Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.
A ciascuna delle 22 lettere ebraiche sono associati dei numeri, dunque ad esse possono venire associate anche corrispondenze con le relative simbologie dei 22 Arcani maggiori dei Tarocchi; questo può essere interessante per chi desidera interrogare questi simboli sul piano dell’introspezione psicologica. Mentre le lettere ebraiche si leggono da destra a sinistra, però, i corrispondenti Tarocchi vanno letti da sinistra a destra. In questo caso, la radice (ayin-lamed-mem) del Nome risponde alla configurazione: “La Torre o casa di Dio – l’Appeso – la Morte “. Da qui la riflessione che nasce dalle domande poste da questi arcani: chiede la Torre (l’apertura, l’emergere di quanto stava rinchiuso): con chi, o con che cosa, sto rompendo? Da quale prigione mi sto liberando? Quali energie si sbloccano dentro di me? Quale festa mi attende? chiede l’Appeso (sosta, meditazione, dono di se stessi) che cosa devo sacrificare? Che cosa devo dare di me stesso? Cosa devo fermare? Cosa devo ascoltare? Verso quale punto devo rivolgere la mia ricerca interiore? chiede la Morte (trasformazione profonda, rivoluzione): che ciclo si è concluso, cosa devo cambiare? Quali sono le mie opportunità? Cosa mi aiuta? Cosa sto ripetendo? Quale enigma emozionale mi blocca?
CORI DI APPARTENENZA E ARCANGELI DI INFLUENZA.
Rimando infine al Coro e alle energie arcangeliche che dispensano influenze ai nati fra il 5 e il 9 aprile. L’angelo Elemiah appartiene al Coro degli Angeli Serafini guidato dall’Arcangelo Metatron. Questa decade in particolare (31 marzo-9 aprile) è dominata dall’Arcangelo della guarigione, Rafaele, mentre il segno dell’Ariete nel suo complesso cade sotto il severo influsso dell’Arcangelo Kamael.
Con amorevolezza rinvio dunque a tali entità angeliche: i nati in questi giorni sono invitati a consultarle, insieme a quella del loro Angelo Custode Elemiah. Infatti anche le energie di questi Arcangeli sono al loro fianco. Infine bisogna ricordare che una specifica influenza sulla persona è esercitata anche dall’Angelo che aveva reggenza nell’orario della nascita.
Mahasiah, angelo 5, dei nati fra il 10 e il 14 aprile.
Mahasiah, o Mahashiyah, è il quinto Soffio e quinto raggio angelico nel Coro nettuniano degli Angeli Serafini guidato dall’Arcangelo Metatron, nel quale governa le energie del Sole. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dal 20° al 25° dell’Ariete ed è l’Angelo Custode dei nati fra il 10 e il 14 aprile.
I sei Angeli Custodi dell’Ariete, collettivamente, assicurano ai loro nati un’energia intensa e focosa, generoso entusiasmo e un acceso desiderio di rigenerazione.
Il nome di Mahasiah significa “Dio salvatore”.
Il dono dispensato da Mahasiah è la PURIFICAZIONE.
Dice Haziel che questo Angelo influenza la sfera sociale entro la quale agisce la persona, e che ciò significa che la spiritualità diffusa intorno a sé dal singolo individuo gli verrà resa, centuplicata. Si tratta di una spiritualità che si esprime sotto forma di considerazioni e speculazioni filosofiche, nel senso che Mahasiah influenza gli incontri con persone tese ad analizzare le proprie e altrui emozioni, i propri pensieri e istinti: questo conduce alla conoscenza di sè e, attraverso di ciò, a compiere progressi anche nella comprensione delle verità cosmiche. I nati di questo angelo troveranno nelle persone che li amano continue fonti di rivelazioni, che tanto più saranno veritiere quanto più si affideranno a lui per chiedere ispirazione e aiuto nel tenersi al riparo da fantasticherie erronee, procurandosi la guida angelica anche agendo correttamente e sinceramente. Spetta all’Angelo, dice Haziel, indicarci, ovvero dirci, come l’uomo sia tenuto ad agire, per diventare l’edificio che ospita la divinità operante nei suoi molteplici aspetti (ossia gli Angeli stessi); ma non bisogna dimenticare che questa guida si può esprimere solo se noi consapevolmente la richiediamo. Se invocato, questo Angelo Custode concede l’equilibrio, malgrado il forte desiderio (innato in alcuni dei suoi protetti) di avere ragione ad ogni costo; il suo aiuto può migliorare il carattere e, di conseguenza, rendere più attraenti le persone; anche nell’aspetto esteriore. Dona la possibilità di riconciliare più persone o di fare la pace con tutti. Concede sogni premonitori, comprensione del messaggio che viene dai piccoli fatti quotidiani; piacere delle cose semplici, riuscita negli esami e nella ricerca di un impiego, e anche l’ottenimento di compiti di responsabilità.
Mahasiah secondo Sibaldi.
Mahashiyah mem-he-shin
«Io cerco gli orizzonti dello spirito e della conoscenza»
Il senso d’infinito nei folli discorsi dei personaggi di Aspettando Godot del Mahashiyah Samuel Beckett, e la possanza e la solitudine di Conan il barbaro, nel film più celebre del Mahashiyah John Milius: ecco i due poli del mondo dei protetti di questo Serafino, individui tanto grandi quanto solitamente incompresi, e del tutto indifferenti, per di più, al fatto che i loro contemporanei li comprendano o meno. Ciò che a loro interessa è sempre altrove, e molto lontano: i confini del loro animo sono troppo ampi perché la realtà del nostro mondo possa occuparvi un posto di qualche rilievo. Li attrae semmai la mistica, la religione (meglio se una religione antica, che in nessun tempio si pratichi più); li attrae sempre la conoscenza, perché la loro mente è agile e ha appetiti vigorosi: ma per quanto vasta possa essere la loro erudizione, tenderà sempre a consistere di argomenti che all’atto pratico si rivelano del tutto inutili, astratti, dinanzi ai quali il loro interlocutore alzerà le sopracciglia, perplesso, a meno che naturalmente non sia un Mahashiyah lui pure. E loro lo sanno bene. Perciò sembrano non avere alcun compito da svolgere, in questa vita; semplicemente si trovano un lavoro (o qualche animo buono glielo procura), non si curano che non abbia pressoché nulla a che vedere con loro, rispettano l’orario, e nient’altro. Non colgono le occasioni che la vita offre loro, le guardano passare; sono insoddisfatti del loro matrimonio, e annoiati, per lo più, dalle loro amicizie, ma non se ne fanno un cruccio: hanno talmente tanta energia da poter sopportare qualsiasi cosa o persona, e con tutti appaiono generosi, disponibili, tranquilli, tolleranti anche, salvo in quei casi in cui un non-Mahashiyah provi a imporre loro una qualche opinione troppo concreta, o peggio ancora a scuoterli da quel loro particolare modo di vivere. Allora reagiscono, si impuntano, e a questo mondo si contano sulla punta della dita le persone che potrebbero convincerli di avere torto. Gli imprevisti, le tempeste, a volte, li smuovono. Di solito sono bravissimi a schivarle: così profondamente distanti da tutto, privi di ambizione, rapidi a rassegnarsi e a lasciar perdere, offrono ben poco bersaglio alle intemperanze del destino. Ma quando qualche ondata della vita li travolge, scoprono di avere tutte le doti necessarie a superare la prova: reggono al naufragio, aiutano chi vi è coinvolto con loro, sanno ricostruire quel che è crollato, e fare anche in modo che la situazione, alla fine, sia migliore di quella che era andata distrutta. Ma poi regolarmente ritornano alle loro abitudini astratte e introverse, così come un santo ritornerebbe alla sua ascesi dopo una breve tentazione: ancor più certi che la Terra non abbia nulla da offrire, né in bene né in male, che possa adattarsi ai loro gusti. Con tutto ciò, una loro missione i Mahashiyah la svolgono, e di non poco conto: incarnano un punto di vista superiore dal quale considerare la nostra vita e ridimensionare ciò che noi – molto spesso – ci sforziamo di considerare importante, ed è invece del tutto secondario. A loro preme soltanto il presente (non per nulla fu un Mahashiyah il più celebre fotografo dell’Ottocento, Nadar): e quanti altri perdono invece ogni ora e ogni giorno del proprio presente, per proiettarsi con l’animo nel futuro prossimo o lontano, o per continuare a dibattersi in rimorsi e rimpianti passati! I Mahashiyah ritengono fermamente che non esista modo più stupido di rovinarsi l’esistenza. Aspettare Godot! E perché? Possono sembrare un po’punk, ma sono in realtà filosofi nati, maestri di relatività, e ascoltarne attentamente non tanto le parole, quanto lo stato d’animo, l’interiore stabilità che attraverso le parole si esprime, è sempre benefico e rasserenante. Potrebbero essere ottimi insegnanti, analisti, se solo si convincessero che ne valga la pena, e avessero la pazienza di interessarsi alle descrizioni che gli altri danno dei propri problemi. Ma dato che questo non avviene pressoché mai, conviene semplicemente tenerseli cari, se capita di averli come amici, e ricorrere a loro nei momenti di stress, come a un antidoto o, mal che vada, a un calmante. Quanto allo stress in cui possono incorrere loro, è di una sola natura: si verifica ogni volta che, per esperimento o per una qualche suggestione ricevuta, i Mahashiyah cominciano a voler vivere come gli altri, a porsi cioè qualche obiettivo preciso e a lottare per conquistarlo. Diventano allora i peggiori nemici di se stessi. Commettono errori insensati, trascurano tutti i dettagli che si riveleranno poi fondamentali, sprecano puntualmente le risorse che hanno destinate allo scopo, svendono o vogliono far pagare troppo cari i loro talenti. Ne deriva facilmente un disastro; e dopo il disastro un senso di frustrazione cocente; e con la frustrazione, una tempesta di disperazione e paura di sé e degli altri. Poi passa e, come sappiamo, dopo le loro tempeste i Mahashiyah si riprendono abbastanza in fretta e, contemplando il mondo da lontano e dall’alto, si domandano perché sia venuto loro in mente di fare tutta quella fatica. Non c’era motivo, infatti. Meglio che si considerino serenamente e incurabilmente sani a modo loro, e si godano la loro dimensione esclusiva, come un bel promontorio sul fiume degli affanni altrui.
Il bambino Mahashiyah
È bene che si tenti di smuovere almeno un po’ i piccoli Mahashiyah dai loro modi da bonzi: così buoni d’animo, così contemplativi, così incredibilmente generosi e indifesi, tra i loro coetanei spesso feroci. Sono bambini dalla pelle dura, questo è certo; reggono bene allo stress della loro misteriosa superiorità morale, che molti scambiano per intorpidimento. Ma prima di lasciarli crescere secondo la natura tanto astratta del loro Angelo, mamma e papà propongano loro esperienze formative come l’atletica, le arti marziali o qualche sport ancora più rude, come il rugby o la pallanuoto. Li coinvolgano, anche, nelle decisioni riguardo all’arredamento, o nella scelta dei luoghi di vacanza, per far loro avvertire almeno il sapore del prendere decisioni concrete. Forse servirà a movimentare un po’ il loro animo, troppo simile se no a un mare in bonaccia. E se non dovesse portare a nulla, tant’è: c’è chi è nato per cercare o sognare soltanto il sublime. Magari, più avanti, sarà prudente aiutarli ad approdare a un lavoro fisso; poi sia come sia, nel resto provvederà l’Angelo per loro.
Claviculae Angelorum:
Mitezza. Sapienza. Forza morale. Indifferenza verso le proprie sconfitte. Crescita spirituale. Protezione contro la rassegnazione.
Qualità di Mahasiah e ostacoli dall’energia “avversaria”.
Le qualità sviluppate da Mahasiah sono: carattere accattivante e piacevole, armonia con il mondo e con gli altri esseri umani; capacità di scegliere il cammino giusto, di perdonare e di pagare per le proprie colpe. Successo in campo scientifico e nell’esercizio delle professioni liberali; gioia di vivere, facilità d’apprendimento (nelle scienze come nel misticismo, e riguardo ai misteri dello spirito), esito positivo negli esami. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Daniel e rappresenta i fallimenti familiari e scolastici. Ispira orgoglio, megalomania, deviazione sessuale, fanatismo religioso. Porta ignoranza, disinteresse per la cultura e lo studio, svogliatezza e difficoltà nell’apprendere; dissolutezza e malattie del corpo e dello spirito.
Meditazione associata al Nome: guarire.
La meditazione associata a Mahasiah si chiama “guarire”. Secondo la Kabbalah questo Nome trasmette un potere spirituale di guarigione, che evoca la liberazione che Mosè seppe portare allo stesso popolo che aveva aiutato a sottomettere: un potere che si ottiene da un lato, meditando sui bisogni degli altri, e sulle nostre opportunità di intervenire in loro aiuto, dall’altro sull’assunzione di responsabilità che consente di rinunciare ad ogni atteggiamento vittimistico.
Meditazione.
Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione:
per il potere di questo Nome porto l’energia di guarigione al livello più profondo e intenso del mio essere. L’energia della Luce mi pervade e mi mette in grado di prendermi cura, a mia volta, delle persone che hanno bisogno di guarire.
Esortazione angelica.
Mahasiah esorta ad aprirsi all’ascolto: di se stessi, del mondo, degli eventi, di tutti gli esseri che la vita ci fa incontrare; ci invita a raccogliere i messaggi di grazia che da ovunque ci giungono per farcene latori per il progresso di tutti.
Giorni e orari di Mahasiah.
Se sei nato nei giorni di reggenza di questo angelo, Mahasiah è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 13 gennaio, 25 marzo, 7 giugno, 21 agosto, 2 novembre; ed egli governa ogni giorno, come “angelo della missione”, le energie dalle h. 1.20 alle 1.40. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l’orario migliore in cui tutti lo possono invocare. La preghiera rivolta specificamente a Mahasiah è il 5° versetto del Salmo 33: Exquisivi Dominum, et exaudivit me; et ex omnibus terroribus meis eripuit me (Ho cercato il Signore ed egli mi ha risposto e da ogni timore mi ha liberato).
SIMBOLOGIA OCCULTA.
Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.
A ciascuna delle 22 lettere ebraiche sono associati dei numeri, dunque ad esse possono venire associate anche corrispondenze con le relative simbologie dei 22 Arcani maggiori dei Tarocchi; questo può essere interessante per chi desidera interrogare questi simboli sul piano dell’introspezione psicologica. Mentre le lettere ebraiche si leggono da destra a sinistra, però, i corrispondenti Tarocchi vanno letti da sinistra a destra. In questo caso, dunque, la radice (mem-he-shin) del Nome risponde alla configurazione: “il Matto – il Papa – la Morte”. Da qui la riflessione che nasce dalle domande poste da questi arcani: chiede il Matto (l’inizio e la scelta): da cosa mi sto liberando o devo liberarmi? Come posso canalizzare la mia energia? Chiede il Papa (il mediatore, il ponte, l’ideale): cosa dice la Tradizione, la Legge? Che cosa comunico e con quali mezzi? Sto trasmettendo qualcosa a qualcuno? Ho un ideale? Chiede la Morte (trasformazione profonda, rivoluzione): che ciclo si è concluso, cosa devo cambiare? Quali sono le mie opportunità? Cosa mi aiuta? Cosa sto ripetendo? Quale enigma emozionale mi blocca?
CORI DI INFLUENZA E ARCANGELI DI APPARTENENZA.
Rimando infine al Coro e alle energie arcangeliche che dispensano influenze ai nati fra il 10 e il 14 aprile. L’angelo Mahasiah appartiene al Coro degli Angeli Serafini guidato dall’Arcangelo Metatron. Questa decade in particolare (10-20 aprile) è dominata dal gioioso Arcangelo Hesediel, mentre il segno dell’Ariete nel suo complesso cade sotto il severo influsso dell’ Arcangelo Kamael. Con amorevolezza rinvio dunque a tali entità angeliche: i nati in questi giorni sono invitati a consultarle, insieme a quella del loro Angelo Custode Mahasiah. Infatti anche le energie di questi Arcangeli sono al loro fianco. Infine bisogna ricordare che una specifica influenza sulla persona è esercitata anche dall’Angelo che aveva reggenza nell’orario della nascita.
Lelahel, angelo 6, dei nati fra il 15 e il 20 aprile.
Lelahel, o Lelehe’el, è il sesto Soffio e sesto raggio angelico nel Coro nettuniano degli Angeli Serafini guidato dall’Arcangelo Metatron, nel quale governa le energie di Venere. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dal 25° al 30° dell’Ariete ed è l’Angelo Custode dei nati fra il 15 e il 20 aprile. I sei Angeli Custodi dell’Ariete, collettivamente, assicurano ai loro nati un’energia intensa e focosa, generoso entusiasmo e un acceso desiderio di rigenerazione.
Il nome di Lelahel significa “Dio lodevole”.
Il dono dispensato da Lelahel è la LUCE.
Dice Haziel che questo Angelo rivela alla persona il modo più fruttuoso di utilizzare le proprie risorse; ma al tempo stesso rende coscienti dell’esistenza di tali risorse e del modo di accedervi. In tal modo conferisce il potere di mettere a frutto grandi opportunità. Inoltre, dato che Lelahel dispone del potere venusiano di abbellire ogni cosa, grazie a lui, la persona potrà valorizzare la propria bellezza naturale, godere di buona salute, ottenere felicità in amore; ma anche fare buoni affari e intraprendere con successo una carriera artistica. Lelahel domina tutto ciò che riguarda la sfera sentimentale e quella della notorietà, delle scienze e della salute. Concede dunque ai suoi protetti la possibilità di diventare famosi per le proprie azioni e le proprie capacità, specie in campo artistico e medico, e perfino di ottenere una clamorosa fortuna finanziaria.
Lelahel secondo Sibaldi.
Lelehe’el lamed-lamed-he
«La mia energia vitale cresce, ed eccede»
I Lelehe’el crescono, e sicuramente fanno crescere: questo è il loro compito. Si estendono, prendono, superano, desiderano e prendono ancora, sempre: non hanno neppure una direzione precisa – poiché la conquista, per loro, è una necessità insaziabile, senza altro scopo che non sia il conquistare stesso. Sono insomma come una fiamma (lehav, in ebraico) che cerca ovunque alimento, e dove ne trova divampa e si ingrandisce. Solo così i Lelehe’el riescono a essere veramente se stessi, e a portare nel mondo questa ventata di volontà onnivora. Non perdano tempo a domandarsi perché, né tantomeno se sia giusto o sbagliato; non troverebbero risposta, e non farebbero che intralciare quell’impetuosa forza della natura che in loro cerca espressione, felice di produrre sempre nuovi bisogni. Se non si spaventano della loro stessa rapacità, possono diventare utilissimi: perfetti esempi di ottimismo, coraggio, e di fiducia in se stessi. I loro campi d’azione più congeniali sono quelli dell’Energia Yod: se si dedicano alla medicina, comunicano ai loro pazienti una carica straordinaria; se preferiscono invece il palcoscenico, diventano fatalmente divi e – più ancora – trascinatori di folle ipnotizzate dal loro impeto. Ma a loro questo non basterà; sono iperattivi, devono assolutamente trovare applicazione a una vera e propria folla di ottime qualità: il desiderio di conoscenza, l’abilità organizzativa, strategica, finanziaria, l’astuzia da lupi, il gusto della sfida, la concretezza, la chiarezza intellettuale, e il colpo d’occhio, che in loro si somma a una brillante capacità di pensare sempre in grande, di intuire quasi magicamente le passioni della loro epoca, e di usarle a proprio vantaggio. Devono perciò trovarsi tre, quattro, cinque attività parallele (e aver successo in tutte), oppure una professione multiforme, come quella del politico, dello scienziato, dell’inventore. Troviamo così, tra i Lelehe’el, sia Adolf Hitler che Leonardo da Vinci: irresistibili entrambi, uno nella rapacità criminale, l’altro nella scoperta delle dinamiche del reale. Devono conquistare vette, non importa se nelle gerarchie o nella natura, purché la gente li veda e li ammiri (come potrebbero infatti sopportare di non essere notati?): ed ecco allora i perfetti Lelehe’el Joseph Ratzinger e Lucrezia Borgia; Ardito Desio, che scalò il K2, e William Wright, che inventò il volo a motore; un ambiziosissimo presidente-imperatore come Napoleone III, che fu tra i monarchi più aggressivi dell’Europa moderna, e un prodigioso artista come Charlie Chaplin, che attraverso il cinema conquistò le platee del mondo intero. Naturalmente si sentono eroi – esclusivamente nel senso di eroi acclamati – e si prendono tremendamente sul serio. Possono ironizzare su tutto, ma non su se stessi; possono relativizzare qualsiasi cosa, ma non il loro diritto (che per loro è un dovere) di imporsi all’attenzione generale. Capita facilmente che sembrino insensibili alle esigenze di chi vive accanto a loro: ma non hanno scelta, devono seguire gli impulsi del loro ben più esigente, affannoso destino, e non possono fermarsi né a dare spiegazioni, né tantomeno a chiedere permessi. I loro famigliari e amici possono solamente adorarli, se non vogliono perderli di vista; e i loro partner riusciranno a tenerli legati a sé soltanto incoraggiandoli a puntare sempre più in alto nel loro lavoro, e intanto rinnovandosi di continuo, mostrando sempre nuovi aspetti del proprio carattere, crescendo insomma insieme con loro. Viene in mente a questo proposito il matrimonio più felice di Chaplin, quello con Oona O’Neill, di trentasei anni più giovane di lui; con lei, l’attempato genio continuò a crescere ben oltre la fine della sua carriera, ritrovò adolescenza, poi giovinezza, e ridivenne ancora adulto quando anagraficamente era già vecchio. La loro unione fu un’ininterrotta crescita anche dal punto di vista aritmetico, dato che ne nacquero ben otto figli. D’altra parte, ben poche persone riescono a frenare a lungo i Lelehe’el che abbiano cominciato a scoprire se stessi: può provarci soltanto qualcuno che li odi davvero. Chi li ha conosciuti sa che è sufficiente ignorarli un po’per incupirli, e che basta un’innocente presa in giro per renderli furiosi: costringerli a limitare la loro vitalità li farebbe soffrire troppo, scatenerebbe tragiche crisi depressive, si ammalerebbero o, invertendo l’effetto della loro Energia Yod, vi farebbero ammalare. Ha gioco più facile chi, invece, decide di sfruttarli. Pur di essere protagonisti, infatti, i Lelehe’el sono disposti a tutto, anche a obbedire e addirittura ad asservirsi a chi offra loro possibilità di azione. Non è alla libertà che aspirano, ma alla riuscita; non sono rivoluzionari, non cercano tanto il nuovo, quanto piuttosto l’utile. Possono perciò trovarsi perfettamente a loro agio in un ambiente conservatore, in un regime o in un partito autoritario, o in un’azienda patriarcale, purché chi li circonda li stimi e si fidi di loro. Se si sentiranno adeguatamente utilizzati, non c’è neppure il rischio che la loro passione per le vette li spinga tutt’a un tratto a prendere il posto di chi li comanda: in fondo al cuore lo potrebbero desiderare, sì, ma tutto sommato preferiranno essere lodati come vice. Intuiscono che una volta arrivati in cima si annoierebbero, non avendo altre mete a cui mirare, e che disponendo di troppo potere faticherebbero a controllare se stessi, come avvenne appunto a Hitler, che in pochi anni impazzì del tutto e cominciò a correre verso la rovina. Meglio ministri che presidenti (D’Alema è nato il 21), meglio attori che produttori, meglio sognare sempre qualcos’altro più in là, piuttosto che guardare dall’alto altri sognatori che comincino a crescere più rapidamente di loro.
Il bambino Lelehe’el
I giorni peggiori per i bambini Lelehe’el sono quelli in cui non riescono a essere i primi della classe, o i più bravi in qualche gioco. Non va sottovalutato il dolore che provano: è grande e profondo, quindi consolateli. Spiegate con voce calma e sicura che niente aiuta a godersi le vittorie più di qualche sconfitta ben affrontata; che c’è una cosa utilissima che si chiama «sfida» e che la cosa più bella di tutte è sfidare non gli altri ma se stessi: trovare i propri punti deboli e rafforzarli – e le sconfitte sono in ciò di grandissimo aiuto. Se lo ricorderanno per tutta la vita, specialmente se sarete abbastanza abili da tagliar corto prima che vi domandino: «E tu?» Per il resto non c’è da preoccuparsi: i bambini Lelehe’el hanno talenti, risorse e intuizioni che gli adulti nemmeno si sognano. Magari, se proprio volete avere la coscienza a posto, ditegli che sareste molto contenti se facesse il medico: camice bianco, stetoscopio, bisturi, salvare vite. Poi godetevi lo spettacolo del piccolo conquistatore che anno dopo anno dispiega il suo potenziale.
Claviculae Angelorum:
Guarire i malati. Enorme energia. Talento artistico. Fortuna. Dominio. Protezione contro gli impulsi rapaci e la disonestà.
Qualità di Lelahel e ostacoli dall’energia “avversaria”.
Le qualità sviluppate da Lelahel sono ambizione e talento; illuminazione spirituale; lucidità e comprensione intuitiva di tutto, creatività, fedeltà agli ideali; capacità di pacificare i contendenti, desiderio di guarire gli altri. L’angelo dona amore e concede ai suoi protetti rapida guarigione dalle malattie ma anche il dono di propiziare una guarigione o comprendere argomenti e materie normalmente ostici. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Arédros e rappresenta la stanchezza e la malattia. Causa ambizione smodata e presunzione. Ispira la tentazione di compiere atti illeciti pur di primeggiare sugli altri o arricchirsi. Fa perdere il senso della misura e dell’empatia.
Meditazione associata al Nome: stato di sogno.
La meditazione associata a Lelahel si chiama “stato di sogno” in quanto questo angelo guida ad attingere saggezza attraverso i sogni, e aiuta a scegliere bene fra le ispirazioni, tenendosi lontani dagli inganni che possono portare a scelte sbagliate. Secondo la Kabbalah la realtà in cui viviamo non è che una delle tante dimensioni possibili; alle altre dimensioni si può accedere in vari modi, uno dei quali è passare attraverso il sogno. Quando ci addormentiamo la presa della materialità si allenta, lasciando che la nostra anima ascenda al mondo spirituale dove riceve nutrimento, forza e ispirazioni. Queste esperienze notturne avvengono in una dimensione che trascende il tempo e lo spazio, nel quale passato, presente e futuro sono compresenti; si abbraccia dunque l’intera vastità della vita, nella sua complessità materiale e spirituale. Qui si colgono visioni che vengono trasmesse alla coscienza attraverso la forma di sogni: tali influenze, operando poi a livello del subconscio, hanno impatto sulle decisioni che prendiamo nella vita di tutti i giorni. Ma le visioni veritiere sono frammiste ad elementi di pura fantasticheria: le persone di forte spiritualità ricevono sogni prevalentemente veritieri mentre l’egocentrismo li deforma e restituisce false immagini. Più sono sinceri i sogni più sagge le nostre scelte e viceversa; nel tempo possiamo imparare a interpretare le visioni che riceviamo e a trarne l’ispirazione migliore. • Meditazione: ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione:
per il potere di questo Nome ricevo sogni veritieri. Durante la notte la mia anima ascende a luoghi sicuri e pieni d’amore; ogni mattina mi sveglio ricaricato, rinvigorito, rinnovato nel corpo e nello spirito e più saggio.
Esortazione angelica.
Lelahel esorta a fare tesoro dei preziosi doni che elargisce per trasferire vitalità, grandezza e bellezza al mondo, senza perdere equanimità e compassione, in modo scevro da ogni compiacimento verso il proprio potere personale.
Giorni e orari di Lelahel.
Se sei nato nei giorni di reggenza di questo angelo, Lelahel è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 14 gennaio, 26 marzo, 8 giugno, 22 agosto, 3 novembre; ed egli governa ogni giorno, come “angelo della missione”, le energie dalle h. 1.40 alle 2.00. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l’orario migliore in cui tutti lo possono invocare. La preghiera rivolta specificamente a Lelahel è il 12° versetto del Salmo 9: Psallite Domino, qui habitat in Sion; annuntiate inter gentes studia eius (Sal.9,12 – Cantate inni al Signore, che abita in Sion, annunciate le sue opere fra i popoli).
SIMBOLOGIA OCCULTA.
Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.
A ciascuna delle 22 lettere ebraiche sono associati dei numeri, dunque ad esse possono venire associate anche corrispondenze con le relative simbologie dei 22 Arcani maggiori dei Tarocchi; questo può essere interessante per chi desidera interrogare questi simboli sul piano dell’introspezione psicologica. Mentre le lettere ebraiche si leggono da destra a sinistra, però, i corrispondenti Tarocchi vanno letti da sinistra a destra. In questo caso, dunque, la radice (lamed-lamed-he) del Nome risponde alla configurazione: “l’Impiccato – l’Impiccato – il Papa“. Da qui la riflessione che nasce dalle domande poste da questi arcani: chiede per ben due volte l’Appeso (sosta, meditazione, dono di se stessi) che cosa devo sacrificare? Che cosa devo dare di me stesso? Cosa devo fermare? Cosa devo ascoltare? Chiede il Papa (il mediatore, il ponte, l’ideale): cosa dice la Tradizione, la Legge? Che cosa comunico e con quali mezzi? Sto trasmettendo qualcosa a qualcuno? ho un ideale?
CORI DI APPARTENENZA E ARCANGELI DI INFLUENZA.
Rimando infine al Coro e alle energie arcangeliche che dispensano influenze ai nati fra il 15 e il 20 aprile. L’angelo Lelahel appartiene al Coro degli Angeli Serafini guidato dall’Arcangelo Metatron. Questa decade in particolare (10-20 aprile) è dominata dal gioioso Arcangelo Hesediel, mentre il segno dell’Ariete nel suo complesso cade sotto il severo influsso dell’Arcangelo Kamael. Con amorevolezza rinvio dunque a tali entità angeliche: i nati in questi giorni sono invitati a consultarle, insieme a quella del loro Angelo Custode Lelahel. Infatti anche le energie di questi Arcangeli sono al loro fianco. Infine bisogna ricordare che una specifica influenza sulla persona è esercitata anche dall’Angelo che aveva reggenza nell’orario della nascita.
Acaiah, angelo 7, dei nati fra il 21 e il 25 aprile.
Achaiah, o ’Aka’ayah, è il settimo Soffio e settimo raggio angelico nel Coro nettuniano degli Angeli Serafini guidato dall’Arcangelo Metatron, nel quale governa le energie di Mercurio. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dal 0° al 5° del Toro ed è l’Angelo Custode dei nati fra il 21 e il 25 aprile.I sei Angeli Custodi del Toro, collettivamente, fanno dei loro nati persone serie, responsabili, gradevoli e meritevoli di fiducia; inoltre accordano loro la sicurezza materiale.
Il nome di Achaiah significa “Dio buono e paziente”.
Il dono dispensato da Achaiah è il CORAGGIO.
Dice Haziel che, da un punto di vista collettivo, questo Angelo domina la diffusione della cultura in tutto il mondo, favorendo le scoperte scientifiche e le invenzioni utili all’umanità. Sul piano individuale invece la sua missione consiste nel rivelare alla persona le possibilità connesse alla sua organizzazione mentale (o interiore), guidando a utilizzare scientemente i propri pensieri per comprendere l’esteriorizzazione del pensiero Divino, e utilizzare le facoltà che ne derivano per organizzare la propria vita, attribuendole senso e finalità precisi. Il pensiero Divino che, promanato da Metatron, si riversa negli uomini attraverso le energie mercuriane di Achaiah, esercita forte potere di trasformazione su ogni creazione naturale; pertanto con l’aiuto di quest’angelo l’individuo potrà dare luogo a nuove e più proficue configurazioni nelle persone e nelle cose, in grado di esaltare, intensificare, mettere a frutto al meglio tutto ciò che più conta. Grazie a questo Angelo il potere supremo della Volontà delle Volontà Metatron attiva il Fuoco-disegno e l’Acqua-sentimenti. Achaiah dissolve tutto ciò che ha carattere primario al fine di creare delle circostanze nuove intensamente favorevoli. Questa dinamica di distruzione-ricreazione si insedierà in noi per poter eliminare opere di modesta portata al fine di ri-crearle migliorate. Se invocato l’Angelo assisterà questo percorso, continua Haziel, con assoluta precisione, facendoci dono di una straordinaria lucidità intellettuale. In altre parole nei protetti da Achaiah esiste la potenzialità di trasformare la realtà armonizzando in modo molto proficuo l’Ingegno e la determinazione con la dolcezza; allo stesso modo egli può dispensare questo dono a tutti coloro che lo invocano.
Sappiamo che secondo la Kabbalah tre versetti dell’Esodo (ciascuno composto da 72 lettere), celano il codice dei 72 Nomi di Dio; e precisamente i versetti 19, 20 e 21 (ciascuno composto da 72 lettere) del capitolo 14: “l’Angelo di Dio che precedeva l’accampamento di Israele cambiò posto e si pose dietro di loro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò indietro. Venne così a trovarsi fra l’accampamento degli Egiziani e quello di Israele. (Es. 14, 19). Questa nube da un lato (cioè per alcuni) era tenebrosa, dall’altro (cioè: per altri) rischiarava la notte; così per tutta la notte gli uni non poterono raggiungere gli altri. (Es. 14, 20). Allora Mosé stese la propria mano sul mare e l’Eterno, durante tutta la notte, ritirò il mare con un forte vento da Oriente, rendendolo asciutto; e le acque si divisero”. (Es. 14, 21). Riguardo alle origini delle lettere nel trigramma-radice di questo Nome aleph, caph, aleph, la prima Aleph proviene dall’Angelo, la Caph (il palmo della mano) viene dal Tutto; la terza lettera, cioè la seconda Aleph, è attributo della mano di Mosé. Il rebus formato da queste tre lettere mostra la relazione tra gli esseri spirituali e i figli della Terra; la mano di Dio è tesa verso coloro che desiderano ricevere la forza dalla Sua potenza (interpr. Muller/Baudat). La configurazione di questo Nome rimanda a potenzialità creative ed energetiche veramente notevoli, savoir-faire intellettuale e capacità di discernimento; volontà di progredire utilizzando tutte le proprie attitudini per poi condividerle con il resto del mondo. Relazioni equilibrate tra spirito e istinto, capacità e intelligenza in grado di apportare molte soluzioni.
Achaiah secondo Sibaldi.
’Aka’ayah aleph-kaph-aleph
«Ho due anime, e una contiene, domina, modella l’altra»
Tutto, nella vita degli ’Aka’ayah, dipende dal modo in cui sapranno far fruttare il rapporto tra le due «anime» di cui parla il Nome del loro Angelo: una estroversa, gioiosa, creativa, e l’altra cupa, inerte, autodistruttiva. Tale rapporto è essenzialmente una costrizione reciproca (la kaph nel nome del loro Angelo), nel prevalere ora di una loro «anima», ora dell’altra; e ne consegue un perenne duello interiore che impone precise e severe regole e fasi, delle quali i protetti di questo Serafino faranno bene ad accorgersi al più presto. Regola e fase n. 1: gli ’Aka’ayah riescono soltanto nelle imprese difficili. La tensione tra le loro due «anime» – come tra due poli di una pila – produce infatti troppa energia perché possano accontentarsi di mansioni ordinarie. Se, perciò, si scelgono un’attività tranquilla, la renderanno complicata; nei periodi in cui tutto va bene, creeranno essi stessi problemi, per usare quell’energia. Regola e fase n. 2: la loro energia è talmente grande che, una volta ottenuto un qualsiasi successo, non sanno né premiarsi né riposarsi: la loro «anima» estroversa li spingerà a proseguire fino all’eccesso, e allo sfinimento; e a quel punto sarà l’altra «anima» ad assumere il loro controllo e a farli precipitare regolarmente in uno stato di deprimentissima abulia. Regola e fase n. 3, la più difficile: devono sprofondarsi in questa depressione, accettarla, lasciarsene dominare; se invece cercano di resisterle, non faranno che prolungarla; se vi si abbandonano, sarà come il letargo dei plantigradi, che li ritempra, li rinnova. Regola e fase n. 4, quella decisiva: tale letargo termina d’un tratto, e da un giorno all’altro gli ’Aka’ayah si riscoprono attivi, carichi di energia e di uno slancio tutto particolare, concentrato, introverso, fatto per lo studio, la riflessione, l’accurata preparazione d’imprese ancor più difficili e ambiziose di quelle già realizzate. Quanto più determinati e pazienti gli ’Aka’ayah saranno in questa fase, tanto più grandi saranno i successi che di lì a poco sapranno conquistarsi – per poi naturalmente esaurirsi di nuovo e ripiombare nel letargo, e così via per sempre. Questo ciclo d’esperienze si ripete ininterrottamente nella loro vita, dall’infanzia fino alla profonda vecchiaia, plasmando nelle sue fasi giornate, mesi e anni con ritmi ogni volta diversi, a seconda di come gli ’Aka’ayah ne assecondano o ne intralciano il procedere. Può diventare la loro principale fortuna: non è da tutti poter disporre così infallibilmente di un periodo di reintegrazione delle energie, come una catapulta che venga tesa e caricata, per poi scattare! Oppure può essere la causa delle loro maggiori disgrazie: se infatti un’Aka’ayah commettesse l’errore di legarsi a qualcuno o a qualcosa (a un lavoro fisso, poniamo) proprio durante il suo periodo depresso, si legherebbe non soltanto a quel qualcosa e a quel qualcuno ma anche alla depressione, e ne rimarrebbe prigioniero fino a che non riuscisse a spezzare gli impegni presi allora. Se viceversa credesse di essere veramente se stesso soltanto nei periodi di maggiore slancio, l’improvviso, irresistibile arrivo del letargo lo troverebbe impreparato e lo getterebbe in una superflua, dannosissima disperazione. Attenzione dunque: questi esseri bifronti devono imparare a conoscere entrambi i propri aspetti, l’attivo e il passivo, a coglierne le alternanze e a pilotarle con saggezza. Sarà prudente, a tale scopo, evitare senz’altro le professioni impiegatizie, e in genere tutte quelle che richiedono una continuità nel rendimento. La personalità degli ’Aka’ayah non riuscirebbe, infatti, a reggere a un ’ esistenza più o meno uguale ogni giorno: hanno bisogno delle loro lunghe pause, poi di periodi tutt’a un tratto entusiasmanti. Non solo: sia nei momenti peggiori della fase letargica, sia nel successivo periodo di concentrazione, capita che cambino profondamente, che compiano scoperte per loro fondamentali, dopo le quali appare loro impossibile continuare a vivere come prima. Li anima, anche, il desiderio di comunicare tali scoperte, oltre che di esprimere, raccontare in qualche modo le tensioni del loro strano destino: e ciò fa di loro degli autentici artisti – e attori soprattutto, abituati come sono, fin dalla nascita, a impersonare due ruoli. Abbiamo così, tra gli ’Aka’ayah, nientemeno che William Shakespeare, e poi una vera folla di star: Jack Nicholson, Anthony Quinn, Silvana Mangano, Shirley Temple, Shirley MacLaine, Barbra Streisand, Al Pacino (d’altra parte, il ritmo del lavoro cinematografico, con le sue lunghe preparazioni e attese, e poi l’improvviso balzo del «Motore! Azione!» è consono alla più profonda indole degli ’Aka’ayah). Inoltre sono portati alla filosofia, perché fin dall’adolescenza li agita, in quelle loro fasi, il desiderio di capire, di trovare il bandolo del perenne mutare del loro stato d’animo e del mondo attorno a loro; e quando diventano filosofi di professione, è impossibile non sorridere del loro akayanesimo, dell’impronta cioè che il loro Angelo dà alla loro immagine del mondo. Kant, per esempio, che cerca appassionatamente un punto fermo (l’intelletto, per lui) a cui ancorare le continue oscillazioni dell’uomo tra ragione e sentimento, e sul quale costruire principî d’azione finalmente categorici, universali, capaci di resistere, diremmo noi, in tutte quante le fasi akayane! Oppure Max Weber, che stabilì un diretto rapporto di causa-effetto tra il pessimismo calvinista e il successo economico – tra fase depressiva e conseguente slancio, insomma. E tra i filosofi della materia e della natura, gli scienziati, vi fu Guglielmo Marconi, che inventò – guarda caso – proprio la radio, per stabilire un collegamento fino ad allora inimmaginabile tra le due sponde dell’Atlantico: e anche qui si espresse, o meglio lo ispirò e lo guidò, io credo, il bisogno profondissimo di stabilire ponti tra i due opposti sistemi che da sempre aveva avvertito in sé stesso. È interessante notare l’alternarsi delle due «anime» akayane e delle loro fasi anche in famosi politici nati in questi giorni, come Cromwell e Lenin, dapprima tenutisi a lungo in ombra, e divenuti poi travolgenti protagonisti di rivoluzioni, e infine cupi tiranni, kaph personificate. Certo, per chiunque abiti con degli ’Aka’ayah, anche molto meno imperiosi di questi due, una notevole fase di stress e di pazienza serafica è da mettere in conto, sia quando giacciono disfatti e lamentosi, con lo sguardo fisso nel vuoto, sia quando sono talmente presi dall’attività da dimenticarsi di mangiare e dormire. Ma l’albero si giudica dai frutti, e così pure il giardiniere. E favorire, guidare, stimolare accortamente (e al momento giusto!) la fruttificazione di questi animi tutt’altro che noiosi può dare splendide soddisfazioni, a quei loro compagni che abbiano nervi saldi e cuore generoso.
Il bambino ’Aka’ayah
Non preoccupatevi quando avranno cadute d’umore, e fate in modo che non se preoccupino neanche loro: per gli ’Aka’ayah, piccoli o grandi, è un fatto fisiologico. Non cercate, soprattutto, di ravvivarli quando sono giù, non rimproverateli se in quei momenti piagnucolano o sono abulici: abbiate pazienza, passerà; e nel frattempo adeguatevi: parlate dolcemente e sottovoce, abbondate in carezze, date loro ragione se si lamentano di qualche circostanza precisa, aiutateli insomma ad attraversare il più tranquillamente possibile il periodo di crisi, che sarà tanto più breve quanto meno gli si opporrà resistenza. Poi, da un giorno all’altro, li ritroverete indaffaratissimi, pieni di energie e di curiosità. Non date retta a nessuno psicologo dell’infanzia che tenti di normalizzarli, o che usi termini tecnici per spiegare questa alternanza di fasi. Imparate piuttosto, insieme con i piccoli ’Aka’ayah, a utilizzarla: notate con quanta profondità scoprono i lati tristi del mondo durante i momenti cupi, e con quanta grazia e coraggio sanno divincolarsene e riprendere a sorridere quando ricomincia il periodo buono. Lodate queste loro dimostrazioni di forza d’animo: è allora che sono veramente se stessi, e prendetene esempio anche voi.
Claviculae Angelorum:
Successo nelle imprese ardue. Protezione contro la pigrizia e l’accidia. Slanci interiori che liberino dal tedio. Fede nei propri talenti. Pazienza nello studio.
Qualità di Achaiah e ostacoli dall’energia “avversaria”.
Le qualità sviluppate da Acahiah sono calma, inventiva, perseveranza, enorme senso pratico, visione rigorosa degli avvenimenti; intelligenza viva e pronta, in grado di risolvere ogni tipo di problema; inoltre amore per la campagna e la natura. La sua energia dona la pazienza e l’applicazione necessarie per lo studio e per l’esecuzione di compiti difficili; comprensione delle prove, discernimento; interesse per la scienza e velocità di apprendimento; ingegno nella messa a punto di procedimenti produttivi e industriali in genere. Concede successo nei campi delle scienze naturali, dell’ecologia, dell’agricoltura, dell’industria e delle comunicazioni. Ispira all’uomo l’apertura alle facoltà sottili che dormono in noi e spinge ad elevarsi verso Dio. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Samiel e rappresenta la mancanza di speranza. Porta confusione, scoramento e ignoranza; difficoltà nell’apprendere, svogliatezza, faciloneria, lassismo; causa insofferenza, impetuosità, invidie, gelosie.
Meditazione associata al Nome: DNA dell’anima.
La meditazione associata a Achaiah si chiama “DNA dell’anima”. Secondo la Kabbalah questo Nome fornisce lo strumento meditativo più efficace a chi vuole riportare ordine nella propria vita quando il suo ordine appare frammentato e incoerente, o le certezze appaiono minacciate. Meditare su queste lettere ricostruisce lo “stato originale” che appare perduto: cioè ri-crea ordine dal caos, organizzazione dalla confusione, calma dall’agitazione, attingendo alle migliori potenzialità che sono nel DNA stesso della nostra vita.
Meditazione.
Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione:
per il potere di questo Nome ricevo piena Energia dalle forze della Creazione. Viene restituito significato alla vita. L’ordine ritorna. La struttura ricompare. Tutto torna al posto giusto e nella posizione migliore.
Esortazione angelica.
Achaiah esorta a non giudicare l’assetto degli eventi dalle sole apparenze che riusciamo a percepire, dalle quali ogni logica sembra assente: il cambiamento che esiste in ogni cosa deve essere l’oggetto della meditazione che ci può condurre ad attingere dentro di noi la speranza necessaria a dispiegare veramente i nostri talenti e a mettere tutti noi stessi al servizio del mondo.
Giorni e orari di Achaiah.
Se sei nato nei giorni di reggenza di questo angelo, Achaiah è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 15 gennaio, 27 marzo, 9 giugno, 23 agosto, 4 novembre; ed egli governa ogni giorno, come “angelo della missione”, le energie dalle h. 2.00 alle 2.20. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l’orario migliore in cui tutti lo possono invocare.
La preghiera rivolta specificamente a Achaiah è il versetto: Miserator et misericors Dominus longanimis et multae misericordiae (Sal.103, 8 – Buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e pronto alla misericordia).
SIMBOLOGIA OCCULTA.
Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.
A ciascuna delle 22 lettere ebraiche sono associati dei numeri, dunque ad esse possono venire associate anche corrispondenze con le relative simbologie dei 22 Arcani maggiori dei Tarocchi; questo può essere interessante per chi desidera interrogare questi simboli sul piano dell’introspezione psicologica. In questo caso la radice aleph, caph, aleph del Nome risponde alla configurazione: “Il Mago – la Forza – il Mago”. Da qui la riflessione che nasce dalle domande poste da questi arcani: il Mago (l’inizio, la scelta): che cosa sto cominciando a fare? Che cosa sto scegliendo? Come posso canalizzare la mia energia? La Forza (inizio creativo, nuova energia) qual è, e dov’è, la mia forza? Cosa devo domare? Il Mago (l’inizio, la scelta): che cosa sto cominciando a fare? Che cosa sto scegliendo? Come posso canalizzare la mia energia?
CORI DI APPARTENENZA E ARCANGELI DI INFLUENZA.
Rimando infine al Coro e alle energie arcangeliche che dispensano influenze ai nati fra il 21 e il 25 aprile. L’angelo Achaiah appartiene al Coro degli Angeli Serafini guidato dall’Arcangelo Metatron. Questa decade in particolare (21-30 aprile) è dominata dall’Arcangelo Bianael, mentre il segno del Toro nel suo complesso cade sotto l’Arcangelo Haniel. Con amorevolezza rinvio dunque a tali entità angeliche: i nati in questi giorni sono invitati a consultarle, insieme a quella del loro Angelo Custode Achaiah. Infatti anche le energie di questi Arcangeli sono al loro fianco. Infine bisogna ricordare che una specifica influenza sulla persona è esercitata anche dall’Angelo che aveva reggenza nell’orario della nascita.
Cahetel, angelo 8, dei nati fra il 26 e il 30 aprile.
Cahetel, o Kahetheel, o Kahethe’el è l’ottavo Soffio e ultimo raggio angelico nel Coro nettuniano degli Angeli Serafini guidato dall’Arcangelo Metatron, nel quale governa le energie della Luna. Il suo elemento è la Terra; ha domicilio Zodiacale dallo 5° al 10° del Toro ed è l’Angelo Custode dei nati fra il 26 e il 30 aprile. I sei Angeli Custodi del Toro, collettivamente, fanno dei loro nati persone serie, responsabili, gradevoli e meritevoli di fiducia; inoltre accordano loro la sicurezza materiale.
Il nome di Cahetel significa “Dio adorabile”.
Il dono dispensato da Cahetel è la PROSPERITA’.
Questo Angelo amministra le energie della Luna; di conseguenza, benché il suo elemento sia la Terra, egli è anche un Angelo delle Acque. L’energia che accorda fertilizza, espande e fa progredire tutto ciò che viene intrapreso. Invocandolo e assecondandolo i suoi protetti potranno avere successo in tutto ciò che concerne la fecondità e l’agricoltura, in tutte le professioni legate all’acqua e alla navigazione, nonché nel commercio (che è anch’esso un campo lunare) e in tutto ciò che deriva da questi ambiti. Secondo Haziel Cahetel è anche l’Angelo del focolare e favorisce tutto ciò che riguarda la famiglia e il suo miglioramento. Conferisce inoltre estrema lucidità alle emozioni, alle cause dei nostri sentimenti di molteplice natura, alle loro origini, al loro potenziale. Di conseguenza, e per analogia, quest’Angelo è colui che permette di scoprire i veri sentimenti che animano le persone a noi vicine, nonché di interpretare le autentiche emozioni della Società (…). Da un punto di vista spirituale quest’angelo induce nell’uomo un senso di profonda gratitudine verso il Creatore per le ricchezze naturali presenti sulla Terra.
Cahetel secondo Sibaldi.
Kahethe’el kaph-he-thaw
«Io domino i profondi desideri dell’anima»
Nacque in questi giorni il duca di Wellington, che a Waterloo assestò il colpo definitivo alle ambizioni imperiali di Napoleone, e si dedicò poi serenamente all’amministrazione delle colonie indiane; nacquero sotto il Serafino Kahethe’el anche Edward Gibbon, l’autore della monumentale Storia del declino e della caduta dell’impero romano, e Saddam Hussein, che volle un impero e finì per distruggersi, pressando troppo i popoli dell’Iraq con il suo pesante regime. E per quanto diversissimi tra loro, sia il duca, sia lo storico, sia il dittatore rappresentano altrettanti aspetti del principale talento dei Kahethe’el, che è quello di saper criticare spietatamente i sogni – i propri o quelli altrui, per loro non fa differenza. Come fossero tutti quanti lettori appassionati di Gibbon, anche i più idealisti tra i protetti di questo Serafino hanno la tendenza, l’ansia anzi, di individuare in qualsiasi ideale i sintomi della sua fatale decadenza, e di potersi impedire così di crederci. Come Wellington, provano un senso di sollievo più o meno dissimulato ogni volta che qualche idolo ormai invecchiato cade, che qualche sogno che ha fatto il suo tempo si infrange: «Lo sapevo, io» dicono annuendo, e si sentono saggi e in pace con se stessi. Come un Saddam, infine, rischiano di eccedere nel tener d’occhio e frenare il proprio animo e l’animo di chi vive con loro, perché sogni e speranze non vi prendano piede. Oppure il rischio è che osino, azzardino qualche ambizione – in gioventù specialmente, e fino ai quarant’anni al massimo –, e in quei momenti appaiono affascinanti, brillanti, belli anche nel fisico, pieni di fiducia nel loro prossimo e ricambiati da eguale fiducia, complimentati, e tanto radiosi da dissolvere ogni forza ostile, visibile o invisibile, che possa trovarsi nel loro raggio d’azione; ma intanto è come se segretamente scommettessero contro se stessi; e riscuotono poi la vincita sottoforma di sconfitta e di «Lo sapevo, io», anche qui. Questi ultimi sono soltanto rischi, ripeto, e non certo funzioni obbligate del loro destino. Ma è bene che i Kahethe’el prendano assolutamente sul serio tale loro lato saddamico, e se ne tutelino. Non devono diventare gli oppressori di se stessi. Tutte le volte, per esempio, che si scoprono in flagrante a cullare il pensiero di una piccolissima felicità domestica, di un posto di lavoro sicuro e subordinato, di vacanze banali, e sospirano pensando a come se ne staranno tranquilli in pensione, sappiano che il loro lato peggiore sta agendo a loro danno, restringendo la loro visuale, inclinandoli a quelle poche pretese il cui unico pregio kaeteliano è di somigliare pochissimo a desideri propriamente detti. Quando poi persistono a limitarsi così, sviluppano inevitabilmente un conformismo molto irritabile, pieno di sarcasmi rancorosi contro chiunque non lo condivida e anche, peggio ancora, quella particolarissima ipocrisia che è tipica delle persone che si sono imposte di non sperare e non gioire mai. E se si considera che i Kahethe’el amano esercitare un certo potere su chi li circonda, e sono generalmente dotati di un buon talento comunicativo, è facile capire quali ombre possano irradiare sugli animi altrui. Eppure, spesso non possono farci nulla: quella strana modestia si impossessa di loro come una nevrosi, facendoli sentire meschini, insignificanti, e costringendoli, davvero, ad annientare tutti i traguardi che potrebbero invece facilmente raggiungere. Come affrontare ed esorcizzare questo demone? Come sempre si fa con le proprie zone d’ombra: ascoltandole, intendendone la profonda ragione, che è in realtà nobilissima. Come altri protetti dai Serafini, i Kahethe’el si trovano fin dalla nascita in quel punto chiave della crescita spirituale in cui l’io comincia a detestare tutto ciò che è egoistico. Il loro animo sta per librarsi ad altre altezze, è alla soglia di un nuovo modo di essere, più aperto, generoso, luminoso, e li indispettisce, li offende addirittura, ogni tratto dell’io ordinario che sappia badare soltanto al proprio vantaggio, alla propria piccola affermazione. I sogni di felicità che i Kahethe’el si sentono spinti a censurare e a schiacciare sono in realtà quelli dell’io limitato, poco evoluto: se ne accorgano, e non cedano alla tentazione di fare di ogni erba un fascio, rifiutando ogni sogno a priori. Se si rendono conto che può esserci qualcosa di nuovo in cui valga la pena di credere, possono divenire splendidi strumenti dell’evoluzione umana, con la loro capacità di annientare tutto ciò che non sia altrettanto nuovo e valido e pretenda soltanto di esserlo. Tra i Kahethe’el illuminati si contano critici geniali delle vanità della loro epoca, come il polemicissimo Karl Kraus, tanto temuto nella Germania prehitleriana; o critici della filosofia, come Ludwig Wittgenstein, tanto rigoroso, nel procedere del suo pensiero, da dar torto persino a se stesso: ripudiò infatti nella seconda parte della vita quel che aveva teorizzato nella prima; e felicissimi, wellingtoniani distruttori di miti esagerati o scaduti, come il poeta Cesare Pascarella ne La scoperta dell’America, o Nino Benvenuti, che con la sua aria da ragazzotto timido abbattè un gigante come Sugar Ray Robinson. Come educatori, benefattori e promotori, poi, i Kahethe’el possono essere splendidi, se sanno prendere a modello la fata di Cenerentola, che annichila sì le due sorellastre, ma aiuta a far emergere nella bella fanciulla quelle doti che le altre avevano cercato di soffocare. Con qualche sforzo, e se riesce a porsi ideali degni e indubitabili, non è da escludere che un Kahethe’el possa fare lo stesso anche per se stesso, per la sua Cenerentola interiore: tentarlo costruttivamente è pur sempre una sfida più interessante del limitarsi sempre e soltanto al ruolo di «guardiani della soglia», di selezionatori e setacci di ciò che negli altri ostacola l’ascesa alle più alte sfere della scoperta di sé. Cherubini I Cherubini irrompono. Il loro nome significa «Come una moltitudine», e fa pensare allo sgomento di un’invasione straniera. I colori in cui vengono immaginati sono indaco e viola con riflessi dorati, come le più cupe nuvole di temporale quando le attraversano i fulmini: e sono i colori delle loro sei ali, nelle quali essi stanno avvolti per lo più, perché chi vedesse il vero volto di un Cherubino verrebbe immediatamente disintegrato dai raggi che ne emanano. Un’immensa potenza trattenuta, eppure pronta a scattare (erano Cherubini i distruttori di Sodoma e Gomorra): un incommensurabile shock per le anime che, dopo la sfera dei Serafini, devono attraversare questa, per temprarsi e consolidarsi prima di ricevere la propria forma. I protetti dai Cherubini ne portano profondamente impressa l’impronta, chi nei toni indaco di un’intelligenza inarrestabile, chi nel viola d’una straordinaria vastità intellettuale, chi nei lampi dorati d’una travolgente iperattività. E poiché non hanno ali in cui avvolgersi, è sufficiente che comincino a essere se stessi perché il mondo ne subisca un memorabile impatto cherubinico, e vacilli poi a lungo, come stordito.
Il bambino Kahethe’el
Occorre fare in modo che i piccoli Kahethe’el non si sentano povere Cenerentole, anche perché, non di rado, risulta invece che siano proprio loro le sorellastre invidiose. Se prendono questo vizietto di mentire a se stessi, tutte le loro doti migliori ne saranno intralciate, e si cercheranno sempre qualcuno migliore di loro, da intralciare di riflesso, nei modi più svariati. È essenziale circondarli d’affetto, rassicurarli il più spesso possibile e al contempo conquistarsi, giorno dopo giorno, la loro fiducia, esigendo in cambio che dicano sempre la verità. Ottimo, a questo riguardo, è il gioco del pensiero: chiedere ogni tanto «A cosa stai pensando?» e lasciare che loro lo chiedano a voi. Molto importante, naturalmente, è che anche voi non mentiate mai, e che vi guardiate bene dal fare preferenze o anche soltanto paragoni tra i bambini Kahethe’el e i loro fratelli. Se con tutto ciò tenderanno ancora all’invidia, non sarà inopportuno mostrare un po’ di indignazione e severità: hanno infatti un precocissimo senso del potere, e sanno apprezzare – e imitare, poi – chi ne fa giusto uso.
Claviculae Angelorum:
Il potere di annientare spiriti malvagi. Raccolti abbondanti. Successi mondani. Protezione contro le crisi di sfiducia in se stessi, l’inettitudine, l’astiosità verso gli altri e contro la loro ostilità.
Qualità di Cahetel e ostacoli dall’energia “avversaria”.
Le qualità sviluppate da Cahetel sono risveglio spirituale, pollice verde, amore per la natura, gli animali e per i lavori della terra; immaginazione, modestia, riconoscenza; dona mentalità fortemente pratica, propensa agli affari e al lavoro, successo in qualsiasi tipo d’attività che produce sostentamento per gli uomini; potere di allontanare gli spiriti malvagi e le energie negative. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Akariel e rappresenta le attività sterili. Induce ingratitudine, cattivo carattere, rifiuto della natura; causa fallimenti commerciali, danni ai frutti della terra, rischi di aborti.
Meditazione associata al Nome.
La meditazione associata a Cahetel si chiama “neutralizzare l’energia negativa e lo stress”. Secondo la Kabbalah, infatti, la vibrazione di queste lettere agisce sull’ambiente che ci circonda (intendendo con ciò sia il nostro personale “campo energetico”, sia l’energia dell’ambiente fisico in cui ci troviamo o quella trasmessa dalle persone) liberandolo dalla cupezza e da possibili influenze nocive.
Meditazione.
Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione:
per il potere di questo Nome, la luce che purifica cancella le forze invisibili che mi minacciano e disattiva ogni energia potenzialmente dannosa, comprese quelle che si annidano dentro di me.Lo stress si dissolve. La pressione si libera. Il mio ambiente è in equilibrio e pervaso di energie amiche.L’energia equilibrata e positiva permea il mio essere e il mondo.
Esortazione angelica.
Cahetel esorta a riconoscere, dentro di sè, il dono che dispensa ai suoi protetti di saper sedurre e persuadere, per attingere sicurezza e stima di sè e dedicare le proprie doti a sostenere la verità e la giustizia.
Giorni e orari di Cahetel.
Se sei nato nei giorni di reggenza di questo angelo, Cahetel è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 16 gennaio, 28 marzo, 10 giugno, 25 agosto, 5 novembre; ed egli governa ogni giorno, come “angelo della missione”, le energie dalle h. 2.20 alle 2.40. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l’orario migliore in cui tutti lo possono invocare. La preghiera rivolta specificamente a Cahetel è il 6° versetto del Salmo 94: Venite, adoremus et procidamus et genua flectamus ante Domino, qui fecit nos. (Venite, adoriamo. Prostrati e in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati).
SIMBOLOGIA OCCULTA.
Corrispondenze con le simbologie degli Arcani maggiori.
A ciascuna delle 22 lettere ebraiche sono associati dei numeri, dunque ad esse possono venire associate anche corrispondenze con le relative simbologie dei 22 Arcani maggiori dei Tarocchi; questo può essere interessante per chi desidera interrogare questi simboli sul piano dell’introspezione psicologica. Mentre le lettere ebraiche si leggono da destra a sinistra, però, i corrispondenti Tarocchi vanno letti da sinistra a destra. In questo caso, la radice kaph-he-thawdel Nome risponde alla configurazione: “la Forza – il Papa – il Matto”; da cui la riflessione interiore che nasce dalle domande poste da questi arcani: chiede la Forza (inizio creativo, nuova energia) qual è, e dov’è, la mia forza? Cosa devo domare? Chiede il Papa: che cosa comunico agli altri e con quali mezzi? Ho un ideale? Chiede il Matto: da cosa mi sto liberando? Da cosa devo liberarmi? Come posso canalizzare la mia energia?
CORI DI APPARTENENZA E ARCANGELI DI INFLUENZA.
Rimando infine al Coro e alle energie arcangeliche che dispensano influenze ai nati fra il 26 e il 30 aprile. L’angelo Cahetel appartiene al Coro degli Angeli Serafini guidato dall’Arcangelo Metatron. Questa decade in particolare (21-30 aprile) cade sotto l’influenza dell’Arcangelo Binael, mentre il segno del Toro nel suo complesso cade sotto il dolce influsso dell’Arcangelo Haniel.
Con amorevolezza vi rinvio a tali entità angeliche: i nati in questi giorni sono invitati a consultarle, insieme a quella del loro Angelo Custode Cahetel. Infatti anche le energie di questi Arcangeli sono al loro fianco. Infine bisogna ricordare che una specifica influenza sulla persona è esercitata anche dall’Angelo che aveva reggenza nell’orario della nascita.