L’educazione del genere umano


L’EDUCAZIONE DEL GENERE UMANO

L’educazione del genere umano è un saggio del 1780 del filosofo e scrittore tedesco Gotthold Ephraim Lessing. Esso approfondisce l’interpretazione storicistica delle religioni. Tale scritto fu completato un anno prima della morte dell’autore avvenuta nel 1781 a Wolfenbüttel.

Educare deriva da educere che signica tirare fuori…

Come è arrivato questo saggio nelle mie mani? Può essere senza dubbio interessante raccontarvi la dinamica materialistica-pratica della manifestazione di  questo evento… Poco tempo fa mi recai a fare delle analisi e chiesi informazioni ad una giovane anima messa lì a filtrare e a dirigere il traffico dei moltissimi “pazienti bisognosi” in lunga fila d’attesa a causa della covidiozia umana oltre che della malasanità triestina (a onor del vero tra le meno peggio del bel paese). Nello stesso momento un’altra anima mi si affiancò e chiese più o meno la mia stessa informazione, così io, nell’osservare il modus operandi della giovane anima che dirigeva il traffico umano e che aveva dato ovviamente delle risposte in linea con la covidiozia di questo momento storico, nel cercare di “giustificarlo” agli occhi del nuovo arrivato, dissi: “d’altra parte questo giovane nato nell’epoca di you-porn, che non ha mangiato un solo frutto coltivato in modo naturale, che vive solo di TV e telefonia cellulare, non poteva dare null’altro che questa risposta.”

Giorgio, così si chiama l’uomo con cui parlavo, di punto in bianco mi chiese: “ma tu sei un antroposofo”?

Dovrei fare una piccola sincronica premessa: qualche giorno prima Tullio, il mio punto di riferimento antroposofico triestino, mi aveva parlato di Massimo Scaligero e dell’esistenza di alcuni esercizi steineriani utili per la  concentrazione.  Tra me e me mi ero riproposto di andarmeli a cercare in rete.

Risposi a Giorgio che l’antroposofia era entrata a far parte della mia vita di recente, che era germogliata in me da poco tempo, anche se avevo a casa e nel cuore già tanti semi consciamente e inconsciamente deposti prima della fine del secondo millennio… (ndr. garzie al compianto Nevio Sgherla, amico, nutrizionista, iridologo, antroposofo triestino nonchè autore di vari libri di alimentaziione).

Andammo a bere un caffè assieme e Giorgio (che sottolineo non avevo mai visto prima), mi guardò e mi chiese a bruciapelo: “tu li fai gli esercizi vero”? Così anche lui entrò a far parte della mia quotidianità antroposofica assieme a Tullio, Giulia, Elena, Rosetta, Roberta, Gabriella, Daniela, tutte anime magicamente apparse, o ritrovate, quando della scienza dello spirito ho iniziato a non poterne più fare a meno. Al nostro primo appuntamento Giorgio mi donò delle fotocopie relative agli esercizi che stavo comunque cercando in rete ed alcune pagine estratte dal libro ” L’educazione del genere umano”.  Queste pagine riassumono 100 punti fondamentali a mio parere molto interessanti seppur frutto di una approfondita sintesi di tutta una serie di volumi (oltre una trentina) scritte dall’autore ma editate dopo la sua morte dal di lui fratello Karl.

Da quel giorno mediamente io e Giorgio almeno una volta alla settimana ci incontriamo, ci scambiamo emozioni, commenti, informazioni, che ci aiutano ad evolvere in questo particolare momento storico che ci sta accompagnando verso la sesta razza postatlantica detta russa o anche epoca di Filadelfia.

Fu così, grazie a Giorgio, che questo saggio di fine settecento è arrivato (diciamolo pure  con pizzico di ironia) “casualmente” nelle mie mani ed è così con analogo pizzico di casualità che desidero donarlo a tutti coloro che seguono il mio sito web…

1- Ciò che è l’educazione per il singolo uomo, è la rivelazione per l’intero genere umano.

2- L’educazione è la rivelazione che opera sul singolo uomo; e la rivelazione è l’educazione che ha operato e tuttavia opera sul genere umano.

3- Non indagherò quì se può essere utile in pedagogia considerare l’educazione da tale punto di vista; ma nella teologia può riuscire certo molto vantaggioso e può rimuovere molte difficoltà il rappresentarci la rivelazione quale educazione del genere umano.

4- Nulla dà all’uomo l’educazione, ch’egli non possa anche acquisire da se stesso: essa gli da ciò che egli potrebbe acquisire da sè, ma più rapidamente e con maggiore facilità. Parimenti la rivelazione nulla dà al genere umano, a cui non possa anche arrivare da sola l’umana ragione; solo che essa ha dato e dà all’umanità i più importanti dei suoi beni più presto.

5 – E come non è indifferente per l’educazione l’ordine con cui volge a grado a grado le energie dell’uomo, come non può essa insegnare all’uomo tutto in una sol volta; così anche Dio nel rivelarsi al genere umano ha dovuto seguire un certo ordine, una certa misura.

6 – Anche se al primo uomo venne ben tosto fornita l’idea d’un unico Dio, non potè certo tale idea, comunicatagli e non da lui acquisita, serbarsi a lungo chiara nella sua mente. Appena la ragione umana, lasciata a se stessa, cominciò ad analizzarla, divise l’Uno incommensurabile in più parti commensurabili e diede ad ognuna di queste parti un particolare segno distintivo.

7 – Sorsero così naturalmente il politeismo e l’idolatria. E chi sa quanti milioni d’anni l’umana ragione si sarebbe ancora aggirata per queste vie errate (benchè dovunque e in ogni tempo singoli uomini riconoscessero che erano vie errate), se non fosse piaciuto a Dio di darle, mediante un nuovo impulso, una migliore direzione.

8 –  Ma poichè egli non poteva, ne voleva più rivelarsi a ogni singolo uomo, si elesse, per la sua particolare educazione, un singolo popolo; e proprio il più rozzo e il più barbaro, per poter cominciare con esso fin da principio.

9 – Questo fu il popolo d’Israele, che nemmeno si sa qual sorta di culto praticasse in Egitto; poichè servi così spregiati non potevano prender parte al culto degli Egizi, nè serbavano più il ricordo del Dio dei loro padri.

10 – Forse perchè gli Egizi avevano espressamente proibito al popolo d’Israele di venerare un proprio dio e propri dèi e lo avevano costretto a credere ch’esso non aveva nè dio nè dèi, che privilegio soltanto della stirpe superiore degli Egizi era avere proprie divinità: e ciò al fine di poterlo tiranneggiare con ben maggiore parvenza d’equità.  Trattano forse molto diversamente ancora oggi i loro schiavi i popoli cristiani?

11 – A questo popolo rozzo dunque Dio si fece da principio annunziare solo come il Dio dei suoi padri, per semplicemente comunicargli e rendergli famigliare l’idea che anch’esso aveva un Dio.

12 – Mediante i miracoli, con i quli lo condusse fuori d’Egitto e lo insediò nella terra di Canaan, gli si mostrò altresì come un Dio più potente di quaunque altro Dio.

13 – E mentre continuava a manifestarglisi come il più potente di tutti – il che, invero, piò essere soltanto uno – lo assuefece a poco a poco all’idea del Dio unico.

14 – Ma quanto quest’idea del Dio unico era ancora al disotto della vera trascendentale idea del Dio unico, che solo così tardi la ragione ha imparato a inferire con sicurezza dall’idea dell’infinito!

15 – Alla vera idea del Dio unico, però, il popolo non seppe per lungo tempo innalzarsi, nonostante che nel suo seno i migliori le si fossero più o meno accostati. E questa è stata la sola vera causa per cui così spesso il popolo d’Israele ha abbandonato il suo unico Dio e a creduto di trovare l’Unico, cioè il più potente, in qualsiasi altro Dio d’un altro popolo.

16 – Ma un popolo così rozzo e inetto ai concetti astratti, ancora del tutto allo stato d’infanzia, di che sorta d’educazione morale poteva essere capace? Non d’altra che di quella corrispondente all’età dell’infanzia: d’una educazione a mezzo di castighi e di premi sensibili, immediati.

17 – Anche qui, dunque, educazione e rivelazione coincidono. Non ancora Dio poteva dare al suo popolo altra religione, altra legge, che non fosse quella attraverso la cui osservanza o inosservanza esso sperava o temeva di diventare felice o infelice su questa terra: poichè il suo sguardo non si spingeva ancora oltre questa vita. Esso nulla sapeva dell’immortalità dell’anima, non aspirava ad alcuna vita futura. Ma rivelare al suo popolo già fin d’allora queste cose, per le quali la sua ragione era ancora così poco matura, sarebbe stato da parte di Dio commettere l’errore del vanitoso pedagogo, che preferisce istruire affrettatamente il suo fanciullo e menarne vanto, anzichè istruirlo gradatamente e a fondo.

18 – Ma a quale fine, si può chiedere, l’educazione di un popolo così rozzo, d’un popolo col quale Dio doveva cominciare proprio da principio? Rispondo: al fine di potere con maggiore sicurezza adoperare in prosieguo di tempo singoli membri di detto popolo quali educatori di tutti gli altri. Egli educò in esso i futuri educatori del genere umano. Tali divennero gli Ebrei, tali potevano divenire solo gli Ebrei, gli uomini provenienti da un popolo in tal modo educato.

19 – E inoltre: poi che il figlio tra percosse e carezze fu crescito ed ebbe raggiunta l’età della ragione, lo gettò il padre d’un tratto in terra straniera; dove ben presto conobbe il bene, che aveva avuto ma non conosciuto nella casa di suo padre.

20 – Mentre Dio guidava il popolo eletto per tutti i gradi di un’educazione infantile, gli altri popoli della terra avevano proceduto per la loro strada alla luce della ragione. La più parte di essi era rimasta assai indietro al popolo eletto; solo alcuni lo avevano sorpassato. E anche coi fanciulli accade ciò, allorchè li si lascia a se stessi: molti restano del tutto rozzi, alcuni invece si formano da sè in modo sorprendente.

21 – Ma come questi tali più felicemente dotati nulla provano contro l’utilità e la necessità dell’educazione; così i pochi popoli pagani, che parevano sinora essere in vantaggio rispetto al popolo eletto perfino nella conoscenza di Dio, nulla provano contro la rivelazione. Il fanciullo guidato dall’educatore s’avvia con passi lenti ma sicuri, raggiunge tardi l’altro più felicemente dotato da natura, ma lo raggiunge, ne può essere più quindi da lui nuovamente raggiunto.

22 – E parimenti – a parte la dottrina dell’unità di Dio che c’è e non c’è nei libri del vecchio testamento il fatto, dico, per lo meno, che la dottrina dell’immortalità dell’anima e quella strettamente connessa delle pene e delle ricompense nella vita futura non vi si trovino affatto, è altrettanto poco probante contro l’origine divina di detti libri. La leggittimità di tale origine è, nondimeno, nei miracoli e nelle profezie ivi contenute. Poichè, poniamo che quelle dottrine non solo non si trovino in detti libri, ma anche che siano del tutto false; poniamo che il destino umano si compia solo in questa vita; sarebbe per ciò meno dimostrata l’esistenza di Dio? Sarebbe perciò meno libero Dio o si converebbe forse meno a lui interessarsi direttamente al destino temporale di qualunque popolo provenga da questo effimero genere umano? I miracoli ch’egli fece per gli Ebrei, le profezie che pronunziò per bocca loro, non erano già solo per i pochi e mortali ebrei, nella cui età tali cose accaddero e furono annunziate; ma intendeva che valessero per l’intero popolo ebreo, per l’intero genere umano, i quali forse debbono in eterno durare su questa terra, benchè di continuo vi muoiano ogni singolo ebreo, ogni singolo uomo.

23 – Inoltre. La mancanza di quelle dottrine negli scritti del Vecchio Testamento nulla prova contro la loro origine divina. Mosè fu sì inviato da Dio, quantunque la sanzione della sua legge si estendesse solo alla vita terrena. Giacchè, per qual ragione avrebbe dovuto estendersi oltre? Egli fu inviato solo al popolo d’Israele, al popolo di Israele di allora; e la sua missine fu perfettamente adeguata alle capacità, alle cognizioni e alle inclinazioni del popolo di Israele di allora, come ai futuri destini di esso. E tanto basta.

24 – Fino a questo punto si sarebbe dovuto spingere il Warburton, e non andare oltre. Ma il dotto uomo volle tendere troppo l’arco: non gli bastava che la mancanza di quelle dottrine non pregiudicasse affatto la missione divina di Mosè; essa gli doveva persino provare la divinità di detta missione. E avesse almeno cercato di fondare tale prova sulla piena convenienza di una tale legge ad un tale popolo! Egli ricorse a un ininterrotto, costante miracolo da Mosè a Cristo, grazie al quale Dio aveva reso felice o infelice ogni singolo ebreo, a secondo che, obbedendo o disobbedendo alla legge, ciascuno se ne era reso meritevole. Tale miracolo aveva supplito alla mancanza di quelle dottrine senza le quali nessuno Stato può sussistere; e proprio ciò proverebbe quello che tale mancanza sembra invece a tutta prima negare.

25 – Fu una fortuna che il Warburton non potè nulla corroborare, con nulla rendere verisimile tale sua concezione d’un continuo miracolo, in cui riponeva l’essenza della teocrazia d’Israele. Poichè, se avesse potuto farlo, avrebbe allora reso davvero, per me almeno, insolubile la difficoltà. Poichè ciò che doveva riconfermare la divinità della missione di Mosè, l’avrebbe resa invece dubbia nella cosa stessa che Dio non voleva bensì allora comunicare, ma neppure certamente rendere più difficile.

26 – Mi spiegherò con il contrapposto della rivelazione. Un libro elementare per fanciulli può bene passare sotto silenzio questo o quel punto importante della scienza o dell’arte di cui tratta, ritenendolo il pedagogo non ancora adeguato alla capacità d’intendere dei fanciulli, per i quali scrisse il suo libro; esso, però, non deve assolutamente contenere nulla che disorienti i fanciulli o addirittura sbarri loro la strada alla comprensione dei punti importanti lasciati indietro. Anzi ad essi debbono essere lasciati accuratamente aperti tutti gli aditi per arrivarvi; e lo sviarli da uno solo di tali aditi o far sì che essi lo attraversino più tardi, farebbe soltanto della incompiutezza del libro elementare un vero difetto.

27 – Così potevano anche, negli iscritti del Vecchio Testamento, in questi libri elementari per il rozzo popolo d’Israele, ancora inabile alla riflessione, potevano ben mancare la dottrina dell’immortalità dell’anima e l’altra della remunarazione futura; ma essi non potevano assolutamente contenere nulla che avesse anche solo ritardato, sulla strada di questa grande verità, il popolo per il quale furono scritti. E cosa l’avrebbe, a dir poco, maggiormente ritardato, che se vi fosse stata promessa quella miracolosa remunerazione in questa vita, e promessa sa Colui che nulla promette che non mantenga?

28 – Poichè, sebbene dall’ineguale distribuzione dei beni in questa vita, nella quale così poco riguardo sembra si abbia alla virtù e al vizio, non possa proprio aversi la prova più sicura dell’immortalità dell’anima e d’un altra vita, in cui quella difficoltà si risolva; pure è ben certo che l’umana ragione senza quella difficioltà non sarebbe per lungo tempo ancora, e forse anche mai, arrivata a prove migliori e più sicure. E invero, ch e cosa avrebbe potuto spingela a cercare queste prove migliori? La semplice curiosità?

29 – Certo questo o quell’Israelita poteva anche estendere le promesse e le minacce divine, che si riferivano a tutto lo Stato, a ogni singolo membro di esso, ed avere la ferma fede che chi è pio abbia anche da essere felice e chi è o diventa infelice porti la pena del proprio misfatto, che subito si converte di nuovo la pena in felicità non appena egli desista dal misfatto. Un consimile uomo pare aver scritto il libro di Giobbe; poichè il diegno di esso è tutto permeato di tale spirito.

30 – Ma l’esperienza di ogni giorno non poteva in nessun modo confermare questa fede; altrimenti per sempre al popolo che tale esperienza avesse avuta, per sempre sarebbe stata preclusa la possibilità di conoscere e far propria la verità che gli era ancora sconosciuta. E invero, se il pio fosse assolutamente felice e si appartenesse altresì alla sua felicità che la propria contentezza non venisse turbata dai terribili pensieri della morte e che egli morisse vecchio e sazio della vita, come potrebbe costui aspirare ad un’altra vita? Come potrebbe meditare su ciò cui non aspira? Ma, se non è del pio il meditare su queste cose, chi lo dovrebbe? Il malvagio? Il quale ben sente la pena del suo misfatto e, se pur maledice a questa vita, ben volentieri rinunzierebbe a qualunque altra?

31 – Molto minore importanza aveva il fatto che questo o quell’Israelita negasse espressamente e in modo assoluto l’immortalità dell’anima e la remunerazione futura, dato che nessun cenno vi era di ciò nella legge. La negazione di un singolo – fosse anche stato un Salomone – non arrestava il progresso dello spirito generale, ed era di per sè già una prova che il popolo aveva ormai fatto un gran passo avanti verso la verità. Ché i singoli negano solo ciò che i più sottomettono alla riflessione ; e nel sottomettere alla riflessione ciò di cui prima non ci si era affatto curati, si è già percorsa metà strada verso la conoscenza.

32 – Riconosciamo pure che è un’eroica obbedienza l’osservare le leggi di Dio, solo perchè sono leggi di Dio e non perchè Dio ha promesso di ricompensare quì e lassù coloro che le osservano: osservarle, benchè non si speri minimamente nella ricompensa futura e non si sia del tutto certi nemmeno della presente.

33 – Un popolo educato a tale eroica obbedienza verso Dio, non doveva essere chiamato, non doveva essere prima di ogni altro preparato a porre in atto disegni divini del tutto speciali? – Fate che il soldato, che presta cieca obbiedenza al suo capo, si persuada anche del senno del suo capo; e dite, che cosa questo capo non oserà compiere con lui?

34 – Finora il popolo giudeo aveva venerato il suo Jehova più come il più potente, come il più sapiente di tutti gli dèi; lo aveva, quale Dio geloso, più temuto che amato: il che conferma anche che il concetto ch’esso aveva del suo unico altissimo Iddio, non era proprio il concetto esatto che dobbiamo avere di Dio. Giunse però il tempo che tale suo concetto doveva essere ampliato, nobilitato, corretto: a tal fine Dio si servì d’un mezzo del tutto naturale, d’un migliore e più esatto termine di confronto, grazie al quale il suo popolo ebbe modo di meglio apprezzarlo.

35 – Mentre finora lo aveva apprezzato solo a confronto dei meschini idoli delle piccole rozze popolazioni vicine, con le quali viveva in continua rivalità; cominciò nella cattività sotto i saggi persiani, a confrontarlo con l’Essere di tutti gli Esseri, quale lo conosceva e venerava una ragione più esperta.

36 – La rivelazione aveva guidato la sua ragione, ed ora la ragione rischiarò d’un tratto la sua rivelazione.

37 – Questo fu il primo mutuo servigio che ragione e rivelazione si resero l’una con l’altra; e per l’Autore di entrambe è così poco disdicevole un tale reciproco influsso, che senza di esso superflua sarebbe l’una delle due.

38 – Il figlio mandato in terra straniera vide altri figli che sapevano di più, che vivevano in condizioni più decorose, e umiliato si chiese: perchè non conosco anch’io ciò? Perchè non vivo anch’io così? Non si sarebbe dovuto, in casa di mio padre, insegnare anche a me ciò, educare anche me allo stesso modo? Allora egli ricerca nuovamente i suoi libri elementari, che da tempo gli erano venuti in avversione, per riversare su di essi la colpa. Ma ecco si avvede che la colpa, per cui da tanto tempo non sa per l’appunto quelle cose, per cui non vide per l’appunto in quel modo, non è dei lbri, sì invece solo sua propria.

39 – Dato che i Giudei, oramai, indottivi dalla più pura dottrina persiana, riconoscevano nel loro Jehova non solo il più grande di tutti gli dèi nazionali, ma Dio; dato che essi potevano nelle loro Sacre Scritture nuovamente tratte fuori tanto più ritrovarlo e mostrarlo agli altri come tale, in quanto egli era in esse davvero; dato che essi mostravano o erano stati educati in dette Scritture ad avere per le rappresentazioni sensibili di Dio un orrore altrettanto grande, quanto solo i Persiani avevano da sempre qual maraviglia ch’essi trovassero grazia agli occhi di Ciro con un culto che questi riconosceva bensì di molto inferiore al Sabeismo puro, ma pure di gran lunga superiore alle rozze forme di idolatria che si erano in sua vece impadronite della terra abbandonata dai Giudei?

40 – Così illuminati sui loro propri non riconosciuti tesori, essi ritornarono e divennero un popolo del tutto diverso, la cui prima cura fu di render duratura nel suo seno questa luce. Quasi esso non aveva più da temere apostasie e idolatrie; poichè si può ben abiurare un dio nazionale, ma non certo Dio, una volta che lo si è conosciuto.

41 – I teologi hanno variamente cercato di spiegare questa totale trasformazione del popolo giudo; ed uno, che ha mostrato assai bene l’insufficenza di tutte queste diverse spiegazioni, credè alla fine di addurre quale vera causa “l’evidente compimento delle profezie annunziate e scritte sulla cattività di Babilonia e sulla liberazione da essa”. Ma anche questa causa può essere vera solo in quanto presupponga un concetto di Dio ora soltanto nobilitato. I Giudei dovettero ora finalmente riconoscere che solo da Dio è fare miracoli e predire il futuro: cose, entrambe, che essi avevano per lo passato attribuito anche a falsi idoli; ragione per cui miracoli e profezie, fin allora, non avevano esercitato su di essi che una debole e fugace impressione.

42 – Senza dubbio i Giudei, sotto i Caldei e i Persiani, vennero a conoscenza anche della dottrina dell’immortalità dell’anima: dottrina, che si rese loro più famigliare in Egitto, nelle scuole dei filosofi greci.

43 – Ma poichè rispetto alle Sacre Scritture questa dottrina mancava del rilievo che invece aveva avuto l’altra dell’unità e degli attributi di Dio; poichè questa seconda dottrina era stata in dette Scritture, sia pure rozzamente, intuita dal popolo tutto senso, mentre la prima aveva bisogna d’essere ancora ricercata; poichè per essa erano stati ancora necessari atti di preparazione, e quindi avevano avuto luogo soltanto allusioni e avvertimenti: per tali motivi la fede nell’immortalità dell’anima non poteva naturalmente mai divenire la fede di tutto il popolo, ma fu e rimase solo la fede d’una particolare setta.

44 – Una preparazione alla dottrina dell’immortalità dell’anima io chiamo, per esempio, la minaccia divina di punire la colpa del padre nei suoi figli fino alla terza e quarta generazione: ciò avvezzò i padri a vivere nell’immaginazione coi loro più tardi nepoti e a presentire l’infelicità che avrebbero riversato su quegli innocenti.

45 – Allusione io

 

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